Da Corriere della Sera del 20/12/2003

Terrorismo e garanzie

America dei diritti l’antidoto alle fazioni estreme

di Gianni Riotta

NEW YORK - Quando Babbo Natale arriva in libreria per riempire la sua bisaccia di volumi dono, si ferma davanti ai best seller politici e si chiede: ma che Paese sono questi benedetti Stati Uniti d’America? Per il regista premio Oscar Michael Moore, in cima alle vendite, «un regime totalitario che va cambiato». Per Ann Coulter, Barbie di destra presto tradotta da Rizzoli, una nazione «tradita dai progressisti mollaccioni». Per l’economista già in odore di Nobel Paul Krugman, un Paese sull’orlo della bancarotta. Se Babbo Natale, confuso, accende la radio, sentirà il rauco Rush Limbaugh che esulta: noi siamo il Paese più ricco del mondo. Sintesi paradossale il linguista di sinistra Noam Chomsky che considera gli Usa governati da una giunta militare, eppure il «Paese più libero del mondo». Sembra che alla vigilia del 2004 gli americani abbiano rinunciato all’equilibrio, dividendosi tra conservatori e progressisti in modo estremo.

I giornali moderati perdono presa, ognuno si rivolge al pulpito che condivide, per sentire slogan non più ragioni. Gli urlatori di destra e sinistra appaiono in talk show sempre meno raziocinanti e sempre più show business. La divisione trasmette all’estero la caricatura di un'America con l'elmetto e il pugnale tra i denti, governata da un presidente ex ubriacone e diretta da una lobby di petrolieri avidi di profitti.

Finché non riparte invece l'eterna bilancia dei poteri in America e il Paese schizofrenico dei libri cult, dei dibattiti e dei cortei anti Halliburton ritorna sulla terra. Le decisioni della magistratura di contestare il diritto del presidente George W. Bush a comandare la detenzione di cittadini americani senza processo civile sine die e di contestare la liceità del supercarcere per i terroristi di al Qaeda presso la base militare di Guantanamo, a Cuba, riporta il dibattito nell'alveo della tradizione giuridica classica.

José Padilla, un cittadino americano ex membro di gang criminali, viene arrestato l'8 maggio del 2002, perché sospettato di preparare un attentato con un ordigno nucleare a bassa intensità. Classificato «combattente nemico» dal ministero della Giustizia di John Ashcroft, Padilla viene detenuto in isolamento in un carcere militare, può incontrare i suoi avvocati solo il 4 dicembre del 2002 e l'8 gennaio del 2003 una Corte d'appello federale stabilisce che può restare in cella senza limiti di tempo. La vicenda mobilita i garantisti: se un cittadino, anche dalla fedina penale maculata come Padilla, può essere incarcerato senza diritti, solo perché giudicato «combattente nemico», il precedente offre al discusso guardasigilli Ashcroft una casistica formidabile e fuori dal controllo delle leggi ordinarie. Giovedì, una Corte federale di New York, divisa 2 a 1, ha deciso che anche Padilla gode dei diritti civili, che l'etichetta di «nemico combattente» non basta a corrodere la protezione costituzionale e che il detenuto deve essere o liberato o trasferito, con accuse precise del pubblico ministero, alla magistratura ordinaria entro trenta giorni.

Molto toccante il passo della sentenza dei giudici Rosemary Pooler e Barrington Parker: «La nostra corte si riunisce in seduta a pochi passi dal luogo dove sorgeva una volta il World Trade Center. Siamo quindi più che mai coscienti della minaccia di Al Qaeda al nostro Paese e delle responsabilità che il presidente, e le autorità di polizia, hanno nel proteggere la nazione. Ma l'autorità presidenziale non esiste in un vuoto pneumatico,e il caso Padilla non riguarda la possibilità che il presidente persegua le sue responsabilità con grinta, ma l'obbligo che la Casa Bianca ha… di condividere le sue responsabilità con il Parlamento». Un passo che gli studenti di diritto dovranno presto imparare e che rimanda al nocciolo libertario: nessuno, neppure il più feroce terrorista, può essere incarcerato negli Usa senza la protezione garantita dalla Costituzione e dal corpo delle leggi sperimentate in oltre due secoli.

Poche ore dopo, in una sentenza che farà più eco del caso Padilla all'estero, una Corte federale d'appello ha stabilito che i miliziani talebani e i presunti terroristi di al Qaeda detenuti a Guantanamo, Cuba, devono avere liberi colloqui con gli avvocati e godere di ogni protezione sancita dal sistema penale americano. Dopo l'11 settembre e la caduta del regime talebano, il ministro Ashcroft, d'intesa con i falchi della difesa, guidati da Donald Rumsfeld, e con il vicepresidente Dick Cheney, aveva allestito il limbo legale di Guantanamo. Secondo il guardasigilli, Guantanamo, non essendo territorio Usa, non concede ai detenuti garanzie legali. La Corte di San Francisco, divisa 2 a 1 come la Corte di New York su Padilla, ha stabilito che Guantanamo, ceduta da Cuba agli Usa «in perpetuo» nel 1903, è de facto un lembo di territorio americano e che quindi i detenuti sono garantiti dal tradizionale diritto penale. Il caso era stato aperto dal fratello del cittadino libico Salim Gherebi, detenuto a Guantanamo, che s'era rivolto alla Corte di California chiedendo giustizia.

La Casa Bianca ha già annunciato che si opporrà alle due decisioni, ma pende sulla etichetta di «combattenti nemici» la Corte suprema, che sta riverificando le carte per una sua prossima, e inappellabile, decisione. I due precedenti non aprono prospettive positive per la Casa Bianca, che in un anno elettorale come il 2004, potrebbe decidere di non insistere sulla strada extragiudiziale. Tanto più che l'opinione pubblica americana non è quel fantoccio che si brucia per strada nelle dimostrazioni irate. Solidale con il presidente nella lotta al terrorismo, è però divisa a metà sulla guerra in Iraq e, in maggioranza, ostile alla erosione dei diritti civili. Perfino una proposta, per noi europei assai ovvia, come una carta di identità nazionale, suscita opposizioni radicali, in difesa della privacy, con vecchi leoni della destra come Bill Safire del «New York Times», che non esitano a schierarsi con la sinistra radicale. Se poi la carta di identità proposta dovesse contenere un chip, un minicircuito elettronico per registrare movimenti e operazioni personali dei cittadini, il no sarebbe ancora più massiccio, assicura il mensile di tecnologia «Wired».

Anziché essere il Paese livoroso e petulante dei bestseller di propaganda, conservatrice e progressista, o il monolite detestato da tanti, gli Stati Uniti restano nazione complessa e divisa. La cattura di Saddam Hussein è considerata un successo, il trauma dell'11 settembre 2001 va assorbendosi, la scelta di Francia, Germania e Italia di partecipare alla riduzione del debito dell'Iraq ha registrato consensi e, in questo clima, la magistratura comincia a cancellare le scelte più estreme del ministro Ashcroft. Per il candidato democratico favorito, Howard Dean, un'opportunità di rimonta, se saprà correggere il suo neutralismo, assai poco apprezzato dagli elettori moderati e del Sud. Alla vigilia delle elezioni, le Corti d'appello hanno aperto il 2004 nella migliore tradizione Usa.

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