Da La Stampa del 22/12/2003
Osservatorio
Cipro un'altra delusione per l'Europa
di Aldo Rizzo
Nella grande «impasse» europea, dopo il clamoroso insuccesso della Conferenza intergovernativa, c'è un'«impasse» più piccola, ma non irrilevante, tutt'altro. E' quella in atto nell'isola di Cipro. Naturalmente, le due crisi non sono comparabili, ma la piccola interferisce nella grande, in un senso non solo simbolico, cioè come ennesima manifestazione dell'incapacità degli europei, un po' ovunque, di far prevalere le ragioni dell'unità sui particolarismi. Interferisce anche nel senso che, senza una sua conclusione in tempi rapidi, l'Unione europea ne avrà non pochi grattacapi, in aggiunta ai tanti di cui già soffre.
Nelle stesse ore, otto giorni fa, in cui l'Ue si leccava le ferite per il mancato accordo sulla Costituzione, la minoranza turco-cipriota, che abita la parte Nord dell'isola, presidiata dalle truppe di Ankara, andava a un'elezione cruciale, in realtà a un referendum sull'accettazione o meno del piano dell'Onu per la creazione di un governo federale, con larga autonomia per le due comunità etniche: la turca, appunto, e la greca, tre volte più numerosa e già insediata in uno Stato internazionalmente riconosciuto, per di più prossimo a diventare membro dell'Unione (il 1° maggio). Magari, almeno da Cipro, sarebbe arrivata una buona notizia. E invece no. Fautori e oppositori della riunificazione hanno ottenuto l'identico risultato, 25 rappresentanti ciascuno, nel parlamento della sedicente Repubblica del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia.
Dunque, tutto da rifare. Ma come? Il vecchio presidente Rauf Denktash, che vede la riunificazione solo come una qualche forma di convivenza tra due veri e propri Stati, ha proposto una «grande coalizione» tra i due schieramenti, come alternativa a nuove elezioni. Il leader del principale partito di opposizione, Mehmet Ali Talat, ha risposto che si potrebbe anche fare, se compito del futuro governo fosse quello di risolvere la crisi nazionale in tempo perché, il 1° maggio, Cipro tutt'intera, cioè riunificata secondo il piano dell'Onu, entri nell'Ue. Ma Denktash non sembra, almeno per il momento, rinunciare al «suo» Stato.
Che accadrà se, tra quattro mesi, le cose non saranno cambiate? Accadrà che la Repubblica di Cipro, quella ufficiale, con i suoi oltre 600 mila abitanti, entrerà nell'Unione europea, avendo di fatto un terzo del suo territorio, con altre circa 200 mila persone, fuori controllo, perché militarmente occupato da un paese straniero. E questo paese è la Turchia, che è a sua volta candidata a diventare membro dell'Ue. Una candidatura sulla quale esistono profonde divergenze in Europa, tra coloro che giudicano essenziale inglobare la sola, pur se ancora imperfetta, democrazia islamica laica, pena trovarsela prima o poi preda del fondamentalismo, e quanti considerano comunque troppo onerosa e richiosa una simile operazione.
Dunque la Turchia dovrebbe avere tutto l'interesse a facilitare un accordo su Cipro, sapendo quanto questo peserebbe sulla sua candidatura, ma qui le cose, invece di semplificarsi, si complicano ulteriormente. Perché il primo ministro di Ankara, l'islamico riformista Tayyp Erdogan, vorrebbe premere più esplicitamente per la riunificazione, ma deve fare i conti con i suoi generali, che considerano «strategica» la presenza di circa 40 mila soldati turchi nell'isola. Vi rinuncerebbero solo davanti alla certezza dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Ma la tendenza, molto chiara, nell'Ue è a valutare, entro l'anno prossimo, la candidatura di Ankara anche, se non soprattutto, su una soluzione accettabile del problema cipriota. Appunto, l'«impasse».
E tuttavia, dice l'Economist, c'è «un barlume di speranza». Forse Denktash cede il campo, forse si fa un accordo trasversale tra i due schieramenti post-elettorali, Ankara sa che ha tutto da perdere, come anche i turco-ciprioti rispetto a una comunità greca già oggi più ricca e sviluppata, e figurarsi domani. Vedremo. Ma viene in mente, per chiudere, come mai il governo italiano, e Berlusconi in particolare, che è amico personale di Erdogan, non sentano il bisogno di fare anch'essi qualcosa. Mettere d'accordo greci e turchi a Cipro attenuerebbe, quanto meno, le delusioni di Bruxelles.
Nelle stesse ore, otto giorni fa, in cui l'Ue si leccava le ferite per il mancato accordo sulla Costituzione, la minoranza turco-cipriota, che abita la parte Nord dell'isola, presidiata dalle truppe di Ankara, andava a un'elezione cruciale, in realtà a un referendum sull'accettazione o meno del piano dell'Onu per la creazione di un governo federale, con larga autonomia per le due comunità etniche: la turca, appunto, e la greca, tre volte più numerosa e già insediata in uno Stato internazionalmente riconosciuto, per di più prossimo a diventare membro dell'Unione (il 1° maggio). Magari, almeno da Cipro, sarebbe arrivata una buona notizia. E invece no. Fautori e oppositori della riunificazione hanno ottenuto l'identico risultato, 25 rappresentanti ciascuno, nel parlamento della sedicente Repubblica del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia.
Dunque, tutto da rifare. Ma come? Il vecchio presidente Rauf Denktash, che vede la riunificazione solo come una qualche forma di convivenza tra due veri e propri Stati, ha proposto una «grande coalizione» tra i due schieramenti, come alternativa a nuove elezioni. Il leader del principale partito di opposizione, Mehmet Ali Talat, ha risposto che si potrebbe anche fare, se compito del futuro governo fosse quello di risolvere la crisi nazionale in tempo perché, il 1° maggio, Cipro tutt'intera, cioè riunificata secondo il piano dell'Onu, entri nell'Ue. Ma Denktash non sembra, almeno per il momento, rinunciare al «suo» Stato.
Che accadrà se, tra quattro mesi, le cose non saranno cambiate? Accadrà che la Repubblica di Cipro, quella ufficiale, con i suoi oltre 600 mila abitanti, entrerà nell'Unione europea, avendo di fatto un terzo del suo territorio, con altre circa 200 mila persone, fuori controllo, perché militarmente occupato da un paese straniero. E questo paese è la Turchia, che è a sua volta candidata a diventare membro dell'Ue. Una candidatura sulla quale esistono profonde divergenze in Europa, tra coloro che giudicano essenziale inglobare la sola, pur se ancora imperfetta, democrazia islamica laica, pena trovarsela prima o poi preda del fondamentalismo, e quanti considerano comunque troppo onerosa e richiosa una simile operazione.
Dunque la Turchia dovrebbe avere tutto l'interesse a facilitare un accordo su Cipro, sapendo quanto questo peserebbe sulla sua candidatura, ma qui le cose, invece di semplificarsi, si complicano ulteriormente. Perché il primo ministro di Ankara, l'islamico riformista Tayyp Erdogan, vorrebbe premere più esplicitamente per la riunificazione, ma deve fare i conti con i suoi generali, che considerano «strategica» la presenza di circa 40 mila soldati turchi nell'isola. Vi rinuncerebbero solo davanti alla certezza dell'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Ma la tendenza, molto chiara, nell'Ue è a valutare, entro l'anno prossimo, la candidatura di Ankara anche, se non soprattutto, su una soluzione accettabile del problema cipriota. Appunto, l'«impasse».
E tuttavia, dice l'Economist, c'è «un barlume di speranza». Forse Denktash cede il campo, forse si fa un accordo trasversale tra i due schieramenti post-elettorali, Ankara sa che ha tutto da perdere, come anche i turco-ciprioti rispetto a una comunità greca già oggi più ricca e sviluppata, e figurarsi domani. Vedremo. Ma viene in mente, per chiudere, come mai il governo italiano, e Berlusconi in particolare, che è amico personale di Erdogan, non sentano il bisogno di fare anch'essi qualcosa. Mettere d'accordo greci e turchi a Cipro attenuerebbe, quanto meno, le delusioni di Bruxelles.
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