Da Corriere della Sera del 30/12/2003

L’analisi

Indicano i bersagli alla galassia dei gruppi. Così i nuovi anarchici imitano Al Qaeda

Istituzioni Ue e apparati di repressione gli obiettivi della campagna appena lanciata

di Giovanni Bianconi

ROMA - Le forze di polizia e gli apparati di sicurezza li considerano da tempo l’avversario più temibile, perché anonimo, sfuggente, imprevedibile. Più delle Brigate rosse, che pure hanno ucciso e programmavano o programmano di uccidere ancora, offrendo però spunti d’indagine concreti. Gli anarchici invece - con senza l’aggiunta dell’aggettivo «insurrezionalista» - teorizzano l’azione singola e svolta in incognita persino all’interno della stessa area. «Fatte le debite proporzioni si muovono come Al Qaeda - spiegano gli analisti dell’antiterrorismo -: nei proclami pubblici vengono lanciate le parole d’ordine per indicare gli obiettivi generali, poi ciascun militante o gruppo è libero di agire come e quando crede, scegliendo il singolo bersaglio a proprio piacimento». Una realtà pressoché impalpabile finché non prende forma con l’attentato, difficile da anticipare e perseguire proprio perché prima e dopo l’azione generalmente non restano tracce. Proprio com’è successo con il doppio attentato alla scorta di Prodi e poi allo stesso presidente dell’Unione Europea.

Per rivendicare l’esplosione dei cassonetti vicino all’abitazione bolognese di Prodi gli autori hanno confezionato un volantino (che secondo gli investigatori ricomprende anche l’invio a casa del libro-bomba) nel quale è contenuta una «lettera aperta al movimento anarchico e antiautoritario» che costituisce il manifesto politico-programmatico della «Federazione anarchica informale»: un agglomerato di «singoli o gruppi» che attraverso questo modo di agire si ripromettono di rendere più difficile la vita di chi deve contrastarli. «Una volta radicati, il potere troverà enormi difficoltà a distruggerci», scrivono nel documento.

Dall’analisi di quel testo vengono fuori due indicazioni sulle «campagne rivoluzionarie» in corso e prossime venture: da un lato l’Europa, le sue strutture e i suoi simboli, dall’altro gli apparati «della repressione», dalle forze dell’ordine alle carceri. Sul primo punto, gli ordigni indirizzati a Prodi e spediti fino a Francoforte e all’Aja parlano in maniera più che chiara; l’Unione Europea è un nemico dichiarato, descritto come «una fortezza dove gli unici confini mantenuti e difesi con le armi saranno quelli tra sfruttati e sfruttatori». Il secondo rientra in uno dei vincoli che la neonata federazione - la cui sigla, Fai, sembra ideata apposta per fare il verso alla storica Federazione anarchica italiana - mette a fondamento della propria esistenza: la «solidarietà rivoluzionaria a eventuali compagni arrestati o latitanti» che, è scritto nel volantino, «si concretizzerà soprattutto attraverso l’azione armata, attacco a strutture e uomini responsabili della detenzione del compagno».

I temi generali, dunque, sono espliciti. Ma è ovvio che al loro interno possono essere scelti centinaia di bersagli: di qui la difficoltà della prevenzione. E a colpirli può essere anche il singolo militante che confeziona e spedisce l’ordigno muovendosi e restando nell’ombra, anche tra i suoi stessi compagni: di qui la difficoltà nella individuazione e «repressione» di chi ha compiuto l’attentato. Pure questo è messo nero su bianco nel documento della Federazione anarchica informale: «In una organizzazione costituita da mille singoli o gruppi che non si conoscono fra loro (piuttosto si riconoscono attraverso le azioni compiute e il patto di mutuo appoggio che li lega), malaugurati casi di infiltrazione o delazione rimangono circoscritti al singolo gruppo, senza espandersi».

In un altro passaggio si ricorda che i gruppi della Federazione «non sono tenuti a conoscersi tra loro, non ne sussiste la necessità, altrimenti si rischierebbe di offrire il fianco alla repressione, a leaderismi dei singoli e alla burocratizzazione; la comunicazione tra gruppi/singoli avviene essenzialmente attraverso le azioni stesse e attraverso i canali informativi del movimento, senza la necessità di conoscenza reciproca».

Il fatto di non essere militanti a tempo pieno, inoltre, rende più complicata l’individuazione del singolo responsabile anche all’interno dell’area che «le forze della repressione» possono tenere sotto controllo: «Chi fa parte della Federazione anarchica informale ne è militante a tutti gli effetti solo nel momento specifico dell’azione e della sua preparazione, non investe l’intera vita e progettualità dei compagni, e ciò permette di mettere definitivamente in soffitta ogni specialismo lottarmatista».

I nuovi teorici dell’«esplosivismo» prendono nettamente le distanze dalle Brigate rosse, sia sul piano ideologico che organizzativo. «Vogliamo la distruzione dello Stato e del capitale per vivere in un mondo in cui "domini" la libertà e l’autogestione», scrivono dichiarandosi «radicalmente avversi a qualunque cancro marxista, sirena incantatrice che incita alla liberazione degli oppressi ma in realtà macchina accentratrice che schiaccia la possibilità di una società liberata per sostituire un dominio ad un altro». Quanto alle velleità di rovesciare il sistema di potere, la Federazione che si muove attraverso «l’anonimato di gruppi e singoli» manda a dire di essere ben consapevole che «non sarà certo una minoranza, per quanto bene armata, a fare la rivoluzione»; tuttavia non intende «posticipare la nostra insurrezione in attesa che tutti siano pronti, convinti, oggi come sempre, che il più semplice fatto diretto contro le istituzioni comunichi meglio che non migliaia di parole». Come un cassonetto che esplode vicino a casa del presidente dell’Unione Europea, per l’appunto, o un libro che prende fuoco in casa sua.

Quanto all’organizzazione interna, rifiutati i canoni classici seguiti dal cosiddetto «partito armato» costituiti da «basi, regolari-irregolari, clandestinità, colonne, quadri, dirigenti, enormi necessità di denaro», l’idea degli anarchici che hanno lanciato la nuova sfida allo Stato è quella di una struttura «non democratica, senza assemblee plenarie, rappresentanti, delegati o comitati, priva di tutti quegli organi che favoriscono la nascita di leader, l’emergere di figure carismatiche e l’imposizione di specialisti della parola».

Anche il «dibattito teorico/pratico» può progredire senza troppe elaborazioni, ma semplicemente a suon di attentati: «Ogni gruppo (già esistente o meno) o singolo, una volta iniziata una campagna di lotta attraverso azione e conseguente comunicato, verrà seguito dagli altri gruppi/singoli della Federazione secondo i propri tempi e modalità». Per investigatori e inquirenti è l’annuncio di altre esplosioni, da ideare e realizzare per seminare panico nel «nemico» e sfuggire a chi dà la caccia ai nuovi terroristi anonimi.

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