Da Corriere della Sera del 05/01/2004
L’esempio di un leader europeo
di Stefano Folli
Rapido, discreto e determinato, il premier inglese Tony Blair è tornato in Iraq, a Bassora, per la seconda volta in pochi mesi, e ha portato il conforto della nazione britannica alle truppe dislocate laggiù. Così facendo, ha compiuto un gesto da statista: consapevole che il giudizio sull’opportunità del conflitto iracheno ha lacerato in questi mesi l’opinione pubblica inglese, ma altrettanto consapevole che il primo dovere di un uomo di governo consiste nell’essere a fianco dei suoi soldati, a testa alta, dopo averli inviati in uno scenario di guerra. Il premier inglese ha assolto il compito con la fierezza che anche i suoi avversari gli riconoscono. Ha difeso le ragioni dell’intervento contro Saddam, ha offerto ai militari una ragione per restare, un motivo per sentirsi utili al loro Paese, la certezza di non essere abbandonati. I soldati sono «i pionieri del XXI secolo» impegnati nella lotta al terrorismo internazionale: «Se ci fossimo tirati indietro - ha aggiunto -, avremmo perso la nostra battaglia per garantire sicurezza al mondo». Retorica? Forse no, se si riconosce che Blair non minimizza la frattura che attraversa la società inglese; se si considera che quasi nelle stesse ore Bin Laden ha trasmesso il suo ennesimo appello a prendere le armi contro gli occidentali; o soltanto se si pensa che le linee aeree occidentali, quelle inglesi in primo luogo, stanno vivendo ore di autentico terrore, alle prese con nuove e più subdole minacce.
Per andare a Bassora, Blair ha sfidato più di un rischio per la sua incolumità. Evidentemente ha valutato che i pericoli personali non sono un argomento plausibile per tenere a casa uno statista, soprattutto quando i rischi quotidiani li corrono i soldati sul campo. La paura fisica è un lusso che un uomo di governo non può permettersi. Specie quando decide di fare politica estera ad alto livello: e la guerra (anche quando si avvolge nelle parole magiche di pace e democrazia) è una forma drammatica di politica estera portata alle sue estreme conseguenze.
Ma c’è un fatto, nel viaggio del premier inglese, che sopra gli altri merita di essere segnalato. Blair non si è rivolto solo ai militari del suo Paese, come fece Bush la notte del tacchino. Blair ha stretto la mano ai rappresentanti di altri Stati della coalizione. In particolare ai comandanti dei carabinieri di Nassiriya. Per loro ha avuto parole di cordoglio nel ricordo della tragedia di novembre e d’incoraggiamento. Il primo ministro ha fatto la cosa giusta al momento giusto. Se il termine Europa vuol dire qualcosa (anche dopo il recente fallimento della conferenza), ieri Blair ha parlato non solo come un premier inglese, ma come un leader europeo nel senso pieno del termine. E i soldati italiani di Nassiriya hanno avuto il Capodanno diverso che meritavano nel momento in cui hanno ricevuto un simile attestato.
C’è da augurarsi che l’esempio di Blair sia seguito da altri uomini di governo, animati senza dubbio dallo stesso slancio e incuranti dei rischi della spedizione, ma trattenuti in patria, a torto o a ragione, da preoccupazioni di varia natura.
Per andare a Bassora, Blair ha sfidato più di un rischio per la sua incolumità. Evidentemente ha valutato che i pericoli personali non sono un argomento plausibile per tenere a casa uno statista, soprattutto quando i rischi quotidiani li corrono i soldati sul campo. La paura fisica è un lusso che un uomo di governo non può permettersi. Specie quando decide di fare politica estera ad alto livello: e la guerra (anche quando si avvolge nelle parole magiche di pace e democrazia) è una forma drammatica di politica estera portata alle sue estreme conseguenze.
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