Da Corriere della Sera del 12/01/2004

Profondo Italia

Laurearsi costa caro poi il lavoro non arriva o è mal pagato

di Dario Di Vico, Emiliano Fittipaldi

Far laureare un figlio in ingegneria, architettura, fisica e persino giurisprudenza è un investimento vero e proprio. Secondo stime di fonte ministeriale il mantenimento di uno studente universitario costa in media 7 mila euro all'anno, circa 600 al mese. Di conseguenza per far diventare ingegnere il proprio rampollo - tempo medio necessario sette anni - un genitore deve investire minimo 50 mila euro. E stiamo parlando di valutazioni estremamente prudenziali perché, se la sede dell'ateneo è distante dalla città di residenza della famiglia, bisogna aggiungere la spesa per vitto e alloggio e si arriva almeno a 8.300 euro. Quando però il giovane ingegnere trova il primo impiego, magari in una multinazionale o in una grande impresa italiana, nell'ultima riga della busta paga trova scritto 900 euro, la retribuzione della quinta categoria metalmeccanici. Con una cifra così modesta si può affittare un appartamento in proprio e concepire un autonomo progetto di vita? Certo che no e così i genitori del neo-occupato devono di nuovo mettere mano al portafoglio e garantire un salario integrativo. Sicuramente per qualche anno, infatti prima che l'investimento iniziale cominci ad essere veramente redditizio bisogna aspettare almeno un lustro.

Lo stesso schema vale per i giovani avvocati e architetti. Il periodo di studio può essere più corto ma la retribuzione di ingresso è ancora più bassa. Laura B., laureata a Napoli in architettura con 110 e lode e pubblicazione della tesi, è entrata in un prestigioso studio della città. Guadagna 500 euro al mese senza alcun contratto, lavora 10 ore al giorno sabato compreso. Sergio L., laureato da quattro anni in legge a Genova, ha iniziato con un praticantato gratuito di sei mesi, poi ha cambiato padrone per 500 euro al mese ma è stato messo alla porta quando, dopo un intero anno di lavoro, ha chiesto due settimane di ferie non retribuite. «Ho trovato un altro studio - racconta - che mi dà 100 euro in più». Di casi così è facile trovarne a migliaia, ormai negli ambienti delle professioni il ricorso al lavoro nero non fa più scandalo, e storie come quelle di Laura B. e Sergio L. sono la prassi. E anche quando il neo-laureato viene messo in regola e può iscriversi alla cassa previdenziale, la retribuzione sale ma di poco. Secondo statistiche elaborate su dati Inarcassa la media degli architetti under 30 guadagna 10.900 euro all'anno e i loro coetanei ingegneri arrivano a 15 mila euro.


CALVARIO E CURRICULUM - La realtà è che prima di affermarsi un giovane laureato aspirante libero professionista deve affrontare un calvario fatto non solo di basse retribuzioni. Francesca C. oggi ha 33 anni ma ha già girato studi di architettura in tre regioni (Campania, Puglia, Lazio) e la sua paga ha oscillato tra i 150 e i 600 euro. «La professione mi ha tradito, il curriculum non serve a niente. Le mansioni che mi sono state richieste c'entrano poco con quello che ho studiato. Ogni lavoro di progettazione è spezzettato come fossimo in una catena di montaggio. Vogliono braccia, non cervelli. Così non impariamo niente, non cresciamo». Roberto P. lavora all'Enea, undici anni fa si è laureato in fisica ed è andato avanti con borse di studio e contratti di collaborazione occasionale al Cnr. «Venivo pagato solo undici mesi l'anno, e l'ultimo stipendio lo chiamavano l'undicesima». Stufo, ha deciso di emigrare e di andarsene ad Amburgo per un anno come ricercatore di robotica a contratto, stipendio 2 mila euro. A dieci anni dalla laurea è tornato in Italia perché nel frattempo ha vinto un concorso all'Enea per un posto a tempo determinato e 1.200 euro al mese. Scaduto il contratto ha vinto un secondo concorso e sta aspettando di entrare in servizio. «La beffa è che a 42 anni l'industria mi considera troppo vecchio».

Anche Luigi V., bergamasco, autore della miglior tesi in diritto penale della sua sessione all'università di Milano, racconta una storia esemplare. «Mi hanno preso prima come assistente all'università, facevo esami, organizzavo convegni, mai visto una lira. Allora sono entrato nell'avvocatura con paghe da rimborso spese. Negli studi legali vige lo sfruttamento selvaggio dei giovani laureati. In un anno sono girati una trentina di praticanti». La realtà denunciata da Luigi è così estesa che il consiglio dell'Ordine di Milano ha imposto agli studi un salario minimo non inferiore a 500 euro e maggiore trasparenza. Per uscire dal tunnel tantissimi giovani avvocati giocano la carta del concorso da magistrato: quest'anno sono stati 26 mila a presentarsi agli esami per 350 posti da toga.


«SIETE TROPPI» - Per gli ordini professionali la causa di tutto ciò è abbastanza chiara: ogni anno vengono abilitati circa 15 mila nuovi avvocati e circa il 30% degli architetti europei è italiano. Troppi. Se il Belpaese produce un architetto ogni 548 abitanti, nel Regno Unito ce n'è uno ogni 7.500 residenti. Gianfranco Pizzolato vicepresidente dell'Ordine dà la colpa all'università di massa, ammette che «i giovani architetti spesso finiscono per riciclarsi come grafici, consulenti tecnici, impiegati nei Comuni» e aggiunge che molti alla fine preferiscono emigrare. Destinazione preferita la Spagna, dove è segnalata un'elevata domanda di creatività. E lo sfruttamento? «I nostri studenti escono dalle università con una preparazione tecnica mediocre rispetto ad americani, francesi e tedeschi. Così da noi, negli studi, continuano la didattica. Certo - aggiunge Pizzolato - bisognerebbe regolamentare il rimborso spese per il tirocinante». Per Paolo Giuggioli, presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano, sono troppi i giovani che si iscrivono a Giurisprudenza, «bisognerebbe che studiassero fisica, chimica, ingegneria». Il mercato, a suo giudizio, «è drogato dalla troppa facilità con cui vengono superati gli esami di abilitazione, specie al Sud. A Catanzaro e Reggio Calabria c'è una specie di industria delle promozioni». Il profilo del neo-avvocato di successo è «quello dell'imprenditore di se stesso», comportamento però che in pochi riescono ad assimilare. Per i tanti che non ce la fanno sono dolori. «Riciclare un avvocato è come creare uno spostato».


CONTA LA CLIENTELA - Chi studia da anni e anni il mondo delle professioni è Gian Paolo Prandstraller, sociologo all'università di Bologna. La sua riflessione parte da un elemento chiave: «Un libero professionista è tale quando ha clienti suoi, fino ad allora non ha autonomia». E per conquistare clienti ci vuole ovviamente un elevato capitale sociale fatto di relazioni a tutto campo che per un giovane costituiscono una barriera insormontabile. In più il lavoro è diventato sempre più complesso. «Prima bastava conoscere il codice. Ora senza avere una struttura informativa che comprende le sentenze del Consiglio di Stato, dei Tar e della Cassazione e in più i raffronti internazionali, non si è competitivi sul mercato». Anche i clienti sono cambiati. «I privati sono sempre di meno, la vera clientela è fatta di enti e Spa ed è chiaro che, se prima bastava il passaparola, oggi ci si rivolge agli studi più quotati. Una società che vuole aprire un centro commerciale si rivolge a professionisti che ne hanno già curato almeno un altro». Tutto quindi congiura contro gli outsider.

La laurea da ingegnere dà invece una doppia chance. Si può esercitare la libera professione o si può, più spesso, essere assunti in aziende medio-grandi come lavoratori dipendenti. Dei livelli retributivi di ingresso abbiamo già detto (un giovane ingegnere guadagna in media il 30% in meno di un suo collega di Parigi o Berlino) ma non c'è dubbio che l'impresa sia per sua natura più orientata a favorire il merito di quanto lo siano gli Ordini. All'ingresso però un 110 e lode non vale uno stipendio più alto: secondo una ricerca realizzata da Od&M Consulting su 180 aziende per il 77% delle imprese il voto del neolaureato è praticamente ininfluente e il 66% non bada nemmeno all'autorevolezza della facoltà di uscita. Se però fino a qualche anno fa era possibile raddoppiare la paga nel giro di pochi anni ora tutto il percorso di carriera si allunga. E persino nel mondo del web, dove la creatività dovrebbe farla da padrona e autorizzare carriere turbo, la gavetta sta diventando la norma e il salario d'ingresso è basso. Una multinazionale del largo consumo ha da poco assunto a tempo determinato, dopo un'estenuante selezione, il responsabile del suo sito Internet. Stipendio: 600 euro.

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