Da Il Manifesto del 14/01/2004

La sovranità smantellata

La posta in gioco nella decisione della Corte. Alessandro Pace: «E' una vittoria della Costituzione»

di Ida Dominijanni

ROMA - «Oggi dovremmo sentirci felici tutti, ivi compresi Berlusconi, Bondi e Schifani, perché un rigetto della questione di costituzionalità del lodo Schifani avrebbe significato la fine della rigidità costituzionale, che è un bene primario di cui godiamo tutti, compresi Berlusconi, Bondi e Schifani. Non è una vittoria mia e degli altri avvocati che hanno discusso la causa davanti alla corte, è una vittoria della Costituzione». Alessandro Pace, il costituzionalista che insieme con Giuliano Pisapia e Roberto Mastroianni aveva steso, depositato e discusso la memoria Cir versus Berlusconi sull'incostituzionalità della legge che rendeva immuni le cinque più alte cariche dello Stato, commenta così la decisione della consulta. E si capisce parlandogli che effettivamente non è solo la soddisfazione professionale a fargli vibrare il tono della voce. Che nella decisione della corte non ci fossero in gioco soltanto il destino del processo Sme e né le sorti giudiziarie di Berlusconi, ma il valore della Costituzione e del costituzionalismo democratico, Pace ce l'aveva chiarissimo quando, illustrando la memoria davanti alla consulta, aveva citato non a caso alcune sentenze decisive per la storia del costituzionalismo, dalla «soluzione salomonica» adottata a Lipsia nel `32 dal tribunale del Reich, che di fatto aprì la strada al nazismo, alla sentenza Marbury contro Madison con cui la corte suprema statunitense fissò nel 1803 il principio della rigidità costituzionale. Era questa la posta in gioco vera della questione di incostituzionalità del lodo Schifani: ribadire la superiorità della Costituzione rispetto alla legge ordinaria, che non è titolata a modificarla; ribadire il valore supremo del principio dell'uguaglianza, che neanche una legge di riforma costituzionale è titolata a erodere; ribadire l'inesistenza di qualsiasi «sovranità assoluta», che sia quella del re o quella del popolo e dei suoi rappresentanti, perché le Costituzioni novecentesche non sono state scritte per concentrare i poteri bensì per limitarli e sottoporli tutti alla legge fondamentale.

Checché ne dicano in coro gli esponenti della Casa delle libertà, che non perdono l'occasione per dimostrare la loro insipienza in materia istituzionale e costituzionale attribuendo la decisione della consulta al solito gioco persecutorio contro il premier, la dichiarazione di illegittimità del lodo Schifani assume a questo punto della storia repubblicana un significato decisivo e solenne. Motivata - stando allo scarno comunicato della corte - sulla base dell'articolo 3 della Costituzione («Tutti i cittradini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge») e dell'articolo 24 («Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») essa non ha solo il merito di rinviare al mittente la palese condizione di privilegio anti-egualitario che stabiliva per la persona (e non per la funzione, come la memoria Cir sottolineava) del premier; né solo quello di evidenziare la meno palese lesione del garantismo contenuta in una norma che, nel sospendere un processo, di fatto priva del diritto di difesa chi vorrebbe tutelare, impedendogli di dimostrare la propria innocenza. La lezione più decisiva è ancor più di fondo, e consiste nello smantellamento della convinzione su cui ruota tutta la visione del mondo e l'azione di governo di Berlusconi e soci: l'idea che la sovranità popolare, trasferita tramite il voto alla maggioranza parlamentare, sia onnipotente e autorizzi la produzione di leggi scritte a copertura di interessi privati contro la lettera e lo spirito della Costituzione. Senonché «non vi è più in Italia principe o suddito sciolto dalle leggi», e «il popolo non può, col suo voto, rendere giudiziariamente immuni coloro che siano stati da esso eletti», c'era scritto nella memoria di Pace, Pisapia e Mastroianni. I giudici supremi le hanno dato ragione, vanificando con un solo atto l'attivismo anticostituzionale da cui la destra di Berlusconi, Bossi e Fini è tenuta insieme; e ammonendo implicitamente chiunque, anche nell'altra metà del campo politico, sia sedotto dall'idea che in democrazia i voti siano tutto. La separazione dei poteri ha ancora qualche freccia al suo arco, e la Costituzione ha ancora i suoi custodi.

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