Da Corriere della Sera del 20/01/2004

Il riordino delle norme alla firma del capo dello Stato: contrari gli ambientalisti che oggi si radunano per spiegare il loro dissenso sul codice Urbani

Beni culturali, muro contro muro

Ma Vaciago: «Ho fatto il sindaco per l’Ulivo e dico che un intervento ci voleva»

di Paolo Conti

ROMA - Il nuovo Codice dei beni culturali, la versione aggiornata della «costituzione» del nostro patrimonio artistico e ambientale, divide il mondo degli addetti ai lavori. In ballo c’è una partita gigantesca: le privatizzazioni del demanio statale e degli enti locali, le procedure per poter «intervenire» (leggi: costruire) nel paesaggio vincolato, il potere delle soprintendenze e la loro possibilità di utilizzare efficacemente lo strumento dei vincoli. In buona sostanza il futuro stesso della tutela e i limiti della valorizzazione. Argomento attualissimo anche per il Quirinale: entro poche ore il Capo dello Stato dovrebbe firmare il Codice dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Il fronte del no è vasto e compatto. La battaglia delle associazioni ambientaliste (Italia Nostra, Wwf, Comitato per la Bellezza, Associazione Bianchi Bandinelli, Legambiente) comincia oggi con una conferenza stampa alle 11 nella sala gialla del Senato. Padroni di casa saranno i Verdi. Scenderanno anche in campo i tecnici del ministero: archeologi, architetti, storici dell’arte.

Spiega Irene Berlingò, presidente dell’Assotecnici: «Il codice azzera la tutela assicurata non solo dalle straordinarie leggi di Giuseppe Bottai del 1939 ma anche dalla precedente del 1913. Il patrimonio ora è sottoposto a tutela: ma solo fino a verifica». Per Berlingò il nuovo codice abroga il Dpr Melandri del 2000 che permetteva fino alla fine del 2004 alle soprintendenze regionali di esaminare, per una possibile vendita, gli elenchi dei beni pubblici comunque vincolati e in gran parte di proprietà degli enti locali: «Ora col collegato alla Finanziaria c’è il silenzio-assenso, cioè le soprintendenze hanno appena 120 giorni per esprimere un parere. E il Codice non supera la norma». Berlingò descrive una situazione allarmante nelle soprintendenze: funzionari demotivati, età media non giovanissima (50 anni), la prospettiva di una vanificazione del ruolo.

Vittorio Emiliani, presidente del Comitato per la Bellezza, invece parla di paesaggio, cioè delle nuove regole per un possibile intervento edilizio su un’area tutelata: «La legge Galasso, che per anni ha lodevolmente garantito la tutela del territorio, è stata cancellata di colpo. C’è un punto fondamentale, nel nuovo Codice dei beni culturali, che apre il varco a futuri disastri. Il parere della soprintendenza sul progetto presentato all’ente locale non è più "vincolante" come è sempre stato in passato. E’ sparita una parola-chiave che da sola testimonia come lo Stato abbia colpevolmente rinunciato a un preciso potere: bocciare il semplice progetto di un privato presentato a un qualsiasi comune. Un potere, quello del comune, attribuito dalle regioni con una delega».

E fin qui siamo nel campo dell’opposizione. Ma i favorevoli al Codice Urbani hanno le loro ragioni. Spiega Andrea Orsini, deputato di Forza Italia, responsabile nazionale del settore dei beni cultuali nonché relatore in commissione cultura del nuovo Codice: «Assisto a molte polemiche strumentali che non capisco. Sfido chiunque a individuare un solo passaggio che abolisca o mitighi la tutela del nostro patrimonio o del paesaggio. Semmai si mette ordine in un settore che non ne aveva più. Vogliamo parlare di dismissioni? Il Codice certifica come questo governo non intenda vendere i nostri tesori ma impone norme molto restrittive e limitative. Offre inoltre una chiara definizione di paesaggio a tutto favore della sua protezione».

E il silenzio-assenso previsto dal collegato alla Finanziaria che impone alle soprintendenze di pronunciarsi entro 120 giorni per una possibile vendita di un bene ai privati? «Grazie al ministro Urbani l’intero meccanismo è stato rivisto. E poi questo Codice, secondo l’opinione emersa nelle commissioni parlamentari, supererà in prospettiva la normativa della Finanziaria. Poi non capisco con quale coraggio l’Ulivo protesti. Noi dobbiamo fare i conti con una artificiosa suddivisione tra tutela e valorizzazione, la prima attribuita allo Stato e la seconda alle regioni, secondo la riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centro sinistra. Non certo da noi del centro destra che l’abbiamo combattuta perché evidentemente pericolosa... ».

Sul fronte del «sì» è schierato un uomo di centro sinistra, l’economista Giacomo Vaciago, ex sindaco ulivista di Piacenza, consigliere scientifico per la tutela di Urbani: «La legislazione del settore era diventata a dir poco caotica... persino lo stesso legislatore cominciava a confondersi. Quindi il Codice riordina definitivamente la materia. Ed è un bene, mi sembra».

Ma molti suoi amici del centro sinistra sono allarmati da una possibile privatizzazione selvaggia del nostro patrimonio. E lei? «Cito un numero che forse basta a spiegare ciò che io penso. In Italia esistono ben 536 caserme pressochè dismesse nei centri urbani. Cosa ne facciamo? Le lasciamo crollare nel nome del principio che debbano restare di proprietà pubblica? Oppure continuiamo a sognare utopisticamente che lo Stato abbia i soldi per restaurarle? O realisticamente ci mettiamo mano col concorso dei privati? Nella mia città, Piacenza, abbiamo creato una Società di trasformazione urbana intitolata "Primogenita" dove comune e ministero lavoreranno insieme per riutilizzare una splendida caserma del 1870 che ora accoglie solo la pioggia che cade dai tetti. Organizzeremo un concorso internazionale. Anche questa un’utopia? L’ho sempre detto: fare sogni in grande costa quanto sognare in piccolo. Tanto vale... ».

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