Da Corriere della Sera del 22/01/2004

Senza tregua

di Giovanni Bianconi

ROMA - Dopo l’abolizione del Lodo Schifani da parte della Corte costituzionale salutata dai magistrati come una vittoria, puntuale è arrivata la mossa successiva: il Senato ha approvato ieri la riforma dell’ordinamento giudiziario disegnata dal governo, contestatissima dalle toghe. Quasi tutte, e di qualunque colore le si voglia immaginare; non solo «rosse», insomma. La coincidenza può forse essere casuale, ma la rapida successione dei due eventi è un fatto. Così come è un fatto la dichiarata volontà del ministro della Giustizia - che ancora ieri ha nuovamente polemizzato con una magistratura dotata a suo parere di «grande autorità» ma non altrettanta autorevolezza - di accelerare la definitiva approvazione della legge da parte della Camera.

Contro quella riforma i giudici italiani hanno già scioperato quando fu annunciata, nel giugno 2002, e adesso sono sulla soglia di un’altra protesta. Perché - accusano - non aiuta in nessun modo l’«efficienza del sistema giustizia», a cominciare dalla lentezza dei processi da tutti lamentata. Semmai interviene sull’altra «priorità» recentemente ribadita dal Guardasigilli, e cioè il «riequilibrio» tra potere politico e potere giudiziario, sul presupposto che quest’ultimo abbia sconfinato. Presupposto negato dai protagonisti che al contrario denunciano la volontà della politica di imbrigliare la giustizia.

Nel testo approvato si possono trovare anche modifiche che non dispiacciono ai magistrati: per esempio la temporaneità degli incarichi direttivi, le indennità per chi lavora in Cassazione o l’introduzione della figura dell’assistente del giudice. Anche la «tipizzazione» degli illeciti disciplinari (a parte gli emendamenti dell'ultim’ora) non è malvista, come pure l’idea della «scuola superiore delle professioni giuridiche». Ma sono piccoli pezzi di una grande riforma che governo e maggioranza enfatizzano come «epocale» mentre i giudici, prima ancora dell’opposizione, considerano pericolosa al pari di una controriforma.

L’annosa questione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri - o delle funzioni con tali e tanti sbarramenti, come quelli previsti dalla riforma, da non cambiare la sostanza della cesura tra i due corpi - è solo la più antica e pubblicizzata. Altri cambiamenti fanno gridare alla rivalsa della politica sulla giustizia, come lo straordinario aumento dei poteri del procuratore della Repubblica che passa (tra l’altro) dall’abolizione dei procuratori aggiunti nominati dal Consiglio superiore della magistratura. Sarà il capo dell’ufficio a scegliere, eventualmente, i suoi vice attraverso le deleghe attribuite a uno o più sostituti, realizzando quella che viene denunciata come «gerarchizzazione» delle Procure. Dalle quali - è il sospetto - non ci si devono più aspettare le sorprese giunte nell’ultimo, contestato decennio di inchieste giudiziarie.

L’introduzione di continui concorsi per progredire in carriera dà il senso del giudice dotto più gradito rispetto a quello un po’ troppo intraprendente che magari interpreta la legge in maniera eccessivamente «creativa». Quest’ultima questione è stata introdotta da un emendamento già oggetto di polemiche, e contro il quale sono arrivate anche le parole del più alto rappresentante della pubblica accusa, il procuratore generale della Cassazione, all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Certe riforme rischiano di trasformarsi «in una limitazione dell’autonomo esercizio della funzione giurisdizionale garantito dalla Costituzione» ha avvertito l’alto magistrato, ma ieri l’emendamento è passato. Al pari di quello che insieme all’iscrizione delle toghe ai partiti sancisce il divieto di «adesione e partecipazione in qualsiasi forma a partiti o movimenti politici»; chissà come potrà interpretarsi quel «qualsiasi forma», o il concetto di «movimenti».

Alla soddisfazione del Guardasigilli e della maggioranza governativa per il «sì» ottenuto ieri al Senato s’è sovrapposto il «vivo allarme» dell’Anm, l’Associazione magistrati guidata dal presidente Edmondo Bruti Liberati che con gli altri componenti della giunta esecutiva ha lamentato come nessun dialogo o confronto sia stato possibile con chi «non ha preso in considerazione alcuna» le critiche avanzate dalle toghe, cioè ministro e maggioranza. Nel «sindacato dei giudici» ci sono forti spinte per una risposta che non sia da meno di quella già manifestata con lo sciopero di due anni fa, a cominciare dalla corrente maggioritaria e tradizionalmente moderata di Unità per la costituzione. Tra processi che stanno per ricominciare e riforme in dirittura d’arrivo il clima è tutt’altro che sereno, e le posizioni si fanno sempre più estreme. Tra due settimane l’Anm va a congresso: al di là del tema già esplicito su «giustizia più efficiente e indipendenza dei magistrati a garanzia dei cittadini», l’ordine del giorno del dibattito tra le toghe sembra segnato.

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