Da Corriere della Sera del 30/01/2004

Emergenza in Africa, il Papa e il ruolo degli Usa

Aids, il bivio del realismo

di Sergio Romano

Con la sua drammatica denuncia Giovanni Paolo II ieri ci ha ricordato implicitamente che esiste nel mondo, oltre a quelle condannate e combattute dal presidente degli Stati Uniti, un’altra arma di distruzione di massa. Si chiama Aids, ha infettato circa 42 milioni di esseri umani e uccide ogni giorno, mediamente, 6 mila persone. L’epicentro è in Africa, soprattutto a sud del Sahara, dove il numero delle nuove infezioni (due milioni all’anno) è di poco inferiore alla metà del totale. Due cifre, meglio di qualsiasi analisi, danno la misura della entità del fenomeno. Nel Botswana, un piccolo Paese dell’Africa meridionale dove abita un milione e mezzo di persone, il 44% delle donne incinte ha l’Aids; nell’intera Africa vi sono 10 milioni di «orfani Aids», abbandonati, molti già infetti, condannati a morire dello stesso male, di tubercolosi o di inedia. È possibile sostenere, come sembra desumersi dall’appello del Vaticano, che i Paesi civili e soprattutto il più ricco e potente fra essi, stanno affrontando il problema con indifferenza e fatalismo? Non sarebbe giusto. Tardivamente, in occasione del suo periplo africano degli scorsi mesi, il presidente Bush ha annunciato che gli Stati Uniti spenderanno nei prossimi cinque anni, per combattere l’Aids e la tubercolosi nel mondo, 15 miliardi di dollari. Più recentemente, in novembre, il Congresso ha stanziato per il 2004 una somma (due miliardi e 400 milioni) superiore a quella richiesta dallo stesso presidente. Ma il piano, se considerato con gli occhi di un africano, contiene molte limitazioni. Il denaro servirà soltanto in parte per l’acquisto e la distribuzione di farmaci anti-retrovirali. Un’altra parte verrà destinata al sostentamento degli orfani e una somma cospicua (un terzo) verrà investita, nello spirito delle convinzioni religiose di Bush, in una campagna per l’astinenza sessuale: propositi che piaceranno all’integralismo cristiano di una parte dell’elettorato del presidente, soprattutto nell’anno della sua campagna elettorale, ma in Africa, a breve termine, poco realistici.

Il problema più grave è quello dei farmaci. Le medicine brevettate dalle case farmaceutiche sono molto care e la cura di un malato costa circa 950 dollari al mese o, con qualche sconto, 500. Occorrerebbe diminuire considerevolmente i prezzi o renderle «generiche» e permettere la loro fabbricazione in Africa. Ma gli industriali sostengono che il prezzo riflette le spese per la ricerca, e Bush, dal canto suo, è troppo attento agli interessi delle aziende per imporre ciò che esse considerano un esproprio. Queste considerazioni sono comprensibili e in tempi normali giustificate. Ma l’Aids, in Africa, non è una normale epidemia. È un cancro che sta progressivamente distruggendo le speranze del continente. Nessun piano di sviluppo africano avrà possibilità di successo se il mondo prospero e civile non interverrà con mezzi eccezionali e piani di emergenza. La dottrina del libero mercato non può essere, a tal punto, priva di realismo e buon senso.

Credo che le stesse considerazioni valgano anche per la dottrina della Chiesa di Roma. Giovanni Paolo II ci chiede di agire contro l’Aids, ma continua a escludere i contraccettivi dal novero dei rimedi possibili. Una tale posizione era comprensibile in altri tempi, quando i Papi consideravano il futuro celeste delle loro anime più importante delle loro condizioni terrene.

Ma questo Papa, soprattutto dopo il crollo del comunismo, non perde occasione per rivolgersi ai «dannati della terra» e farsi paladino delle loro esigenze. Esiste forse qualcuno più dannato di un bambino malato di Aids?

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