Da Il Messaggero del 30/01/2004

Il reportage

Burkina Faso, il grido di dolore dei piccoli condannati

Il centro di Koupela ospita 45 orfani denutriti: metà moriranno entro maggio. Fame, tifo, malaria, ma anche gli artigli dei trafficanti di schiavi

di Michele Concina

KOUPELA (Burkina Faso) - Dai piccoli visi velati di polvere gli occhi guardano fissi, privi d'espressione. Braccia e gambe sono così sottili che a spezzarle basterebbero due dita. Cantano le rondini che a primavera torneranno fra noi; ma padroni del cielo, e dei tetti, sono gli avvoltoi silenziosi. Ci sono quarantacinque bambini, a dividere con polli e maiali un cortile sporco e riarso. Metà di loro moriranno entro maggio, al culmine della stagione secca.

Sulla carta, questo è un centro d'assistenza per orfani denutriti, e si trova all'interno dell'ospedale provinciale di Koupela. Ma parole come "assistenza" e "ospedale" hanno un senso diverso in Burkina Faso, uno dei cinque Paesi più poveri del mondo, nel cuore dell'Africa nord-occidentale. Lo stato paga un medico e un paio d'infermieri. Il resto - cibo e medicine, assistenza e sepoltura - chi può se lo paga, chi non può ne fa a meno. Quando nei villaggi un bambino resta senza genitori, una parente o una vicina di casa se lo lega sulla schiena con un telo colorato e viene a stare fra questi muri scrostati, dove una volta ogni tanto missionari o volontari occidentali riescono a far arrivare qualche sacco di miglio.

Con un'aspettativa di vita di 45 anni e un tasso di natalità del 6,8 per cento, il Burkina è un Paese di bambini. Di creature che lottano ferocemente per sopravvivere fin dai primi respiri. Tre su dieci muoiono prima di compiere cinque anni, sterminate dalla fame, dal tifo, dal colera, dalla meningite, dalla polmonite, dalla malaria. Agli altri, il destino propone un'esistenza in questa savana brulla, in villaggi di fango e paglia intrecciata, in bilico fra un'agricoltura di magra sussistenza e la carestia che arriva e uccide appena la stagione delle piogge tarda un paio di settimane.

Vie d'uscita, ben poche. Una sono le "scuole coraniche" delle città. Una trappola, secondo Fabienne de Leval, che nella capitale Ouagadougou rappresenta Medici senza frontiere. «Per fondare una scuola, basta che uno abbia letto un paio di volte il Corano. Ammucchia in qualche baracca un centinaio di allievi fra i sei e i quindici anni, impartisce due ore di lezione all'alba, e per il resto della giornata manda i ragazzi a mendicare o al lavoro, intascando quel che ne ricavano». Quasi metà dei bambini di strada che Msf cura e vaccina nei suoi laboratori mobili sono fuggiti da quelle cosiddette scuole.

L'altra possibile via d'uscita è l'emigrazione. Verso le piantagioni di cacao della Costa d'Avorio, soprattutto, e verso i mestieri più vari negli altri Paesi costieri. Una trappola ancor peggiore. «A partire dagli anni '90, a controllare i canali tradizionali di migrazione si sono inserite organizzazioni criminali», riferisce Ruth Hilbert, coordinatrice in Burkina Faso dei volontari tedeschi di Terre des Hommes. «Girano i villaggi, comprano i bambini dalle famiglie per l'equivalente di 10-15 euro. Oppure organizzano una serata di musica disco: un avvenimento, nella savana, che attira i ragazzi nel raggio di decine di chilometri. I reclutatori li accostano, propongono loro di scappar di casa promettendo un motorino, abiti nuovi, una somma in contanti».

Accettano, a migliaia; del resto, che cosa hanno da perdere? Ma quel che trovano a destinazione, dove i trafficanti incassano dai piantatori circa 60 euro per ogni ragazzo consegnato, somiglia più alla schiavitù che a un mestiere. «Gli vengono subito sottratti i documenti, vengono messi a vivere in camerate sorvegliate da uomini armati», testimonia Ibrahim Sanogo, un medico del Burkina che due anni fa ha condotto un'inchiesta sui minorenni del suo Paese al lavoro in Costa d'Avorio, contandone circa 170 mila. «Restano nei campi per quindici ore. Mangiano una sola volta al giorno, di solito qualche banana arrostita a cui vengono aggiunte delle droghe per farli resistere alla fatica». Il salario equivale a cinque euro al mese per un bambino di 12-13 anni, a otto euro per un ragazzo di 16-17. Quando c’è: se la stagione va male, il piantatore non paga. Dopo due o tre anni, gli schiavi vengono liberati. Con qualche soldo in tasca, o a mani vuote, e la salute rovinata dalle anfetamine. A tirare avanti, ancora per poco.

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