Da Corriere della Sera del 31/01/2004

Bush: «Voglio la verità sulle armi di Saddam»

La Casa Bianca interviene dopo le rivelazioni degli ispettori sull’inesistenza degli arsenali di sterminio

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Dopo il premier britannico Tony Blair, è la volta del presidente George Bush. Come Blair, discolpato ufficialmente - ma non tutta la Gran Bretagna è convinta che fosse stato completamente sincero - Bush è sospettato di non avere detto la verità sulle armi di sterminio di Saddam Hussein.

Pochi, come David Rudd, direttore della campagna elettorale del gruppo democratico al Senato, l'accusano apertamente di aver mentito. Ma molti si chiedono se il presidente possedesse le prove dell’esistenza delle armi del raìs, il motivo principale da lui addotto per l'attacco all'Iraq, o se la Casa Bianca avesse obbligato la Cia, il servizio segreto, non a inventarne ma almeno a «gonfiarne» qualcuna. E' una mina vagante nell'oceano in tempesta delle elezioni americane, e ieri Bush è scattato all’autodifesa. «Voglio conoscere i fatti», ha proclamato in un incontro lampo coi media. «Il popolo americano sappia che desidero fare luce in fretta sulle conclusioni dell'intelligence. Intendo confrontare l'esito del lavoro dei nostri ispettori in Iraq con ciò che credevamo prima».

Il presidente ha aggiunto che il capo ispettore David Kay è persuaso che Saddam Hussein «fosse un grave pericolo per il mondo». E ha terminato: «Il despota sfidò la comunità, formammo una coalizione internazionale, e fu rimosso».

Capitolo chiuso? Affatto. Secondo i media, e come ovvio secondo i critici, nell'autodifesa di Bush c'è un neo. Il presidente non ha appoggiato la richiesta democratica di una indagine indipendente su ciò che la Cia sapeva o non sapeva, e disse o non disse alla Casa Bianca, delle armi di sterminio del raìs. Ieri ha glissato in merito, ricordando che l'amministrazione e la stessa Cia stanno già svolgendo due inchieste parallele. Una posizione espressa il giorno prima dal consigliere della sicurezza nazionale Condoleezza Rice, che aveva compiuto un blitz televisivo per prevenire lo scoppio di uno scandalo.

«Condi», come è familiarmente chiamata, è il «pompiere personale» di Bush. Alle tv, aveva sostenuto che «l'intera storia non è ancora nota, vi sono interrogativi a cui occorre rispondere». Ma aveva escluso un'indagine indipendente: «Significa anticipare troppo i tempi».

Il generale Wesley Clark, ex comandante delle forze armate della Nato, uno dei candidati democratici di punta, aveva protestato dicendo: «Due settimane dopo le stragi dell’11 settembre a Manhattan, il Pentagono mi svelò che Bush aveva deciso di muovere guerra all'Iraq».

Alla radice del possibile scandalo c'è il «pentimento» di David Kay, l'ex capo ispettore americano in Iraq. Kay, un falco che dopo la guerra del 1991 fece parte degli ispettori dell'Onu, da lui ripetutamente criticati, si è dimesso, e ha rilasciato dichiarazioni imbarazzanti per Bush.

E' probabile che Saddam Hussein avesse distrutto le armi di sterminio dopo la prima sconfitta, ha asserito in una testimonianza al Congresso, e dubito che se ne troverà qualcuna in futuro. «Le conclusioni contrarie della Cia - ha proseguito Kay - rappresentano uno dei più colossali fallimenti del nostro spionaggio».

L'ex ispettore si è dichiarato certo che il presidente fosse in buona fede: «E' rimasto ingannato dagli errori degli 007». E' la stessa tesi delle Commissioni sull' intelligence del Senato e della Camera, anticipate ieri dal Washington Post : la Cia, dicono le Commissioni, «si basò su informazioni datate o infondate, non prese mai in considerazione la possibilità che il raìs si fosse liberato delle armi». Tesi che potrebbe costare la testa a George Tenet, il direttore del servizio segreto, come adombrato dal Wall Street Journal .

Ma l'uscita di scena di Tenet presenterebbe dei rischi per Bush, perché il «super James Bond» potrebbe andare al contrattacco, e la richiesta di un’indagine indipendente farsi molto più pressante, sebbene i repubblicani abbiano il controllo del Congresso. Il sondaggista democratico Doug Schoen ha osservato che le elezioni saranno in pratica un referendum fiduciario su Bush: «E' vero che nei sondaggi il 56 per cento degli americani approva egualmente la guerra all’Iraq, ma la questione della onestà del presidente è sempre stata fondamentale per l'elettorato».

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