Da La Stampa del 02/02/2004

La psicosi del caro-euro

di Tito Boeri

Siamo ormai al terreurismo. Il tormentone sull'inflazione da euro è destinato a battere ogni record di copertura mediatica. Nel 1984-85, quando avevamo un'inflazione a due cifre, il maggior quotidiano economico nazionale, Il Sole-24 Ore, inseriva i termini «inflazione» o «carovita» in 218 fra titoli, occhielli e sommari. Negli anni 1989 e 1990 - quando il tasso di inflazione era tornato a salire - i due termini assurgevano agli onori della prima pagina 9 volte. Nel 2002-3, inflazione e carovita sono entrati in titoli, occhielli e sommari ben 605 volte, di cui ben 96 in prima pagina.

Anche in altri Paesi europei si è scritto e parlato dell'euroinflazione all'inizio del 2002. In Germania si speculava sul Teuro, giocando sul fatto che in tedesco «teuer» vuol dire costoso. In Spagna vi è stata molta polemica sugli arrotondamenti, ma poi si è sgonfiata, com'è giusto che sia per un evento, l'inflazione da cambio di moneta, che ha avuto luogo una volta sola, ben due anni fa. Da noi, invece, se ne continua a scrivere e parlare in libertà, come se fosse un dato non verificabile. Perché tanto, si dice, le statistiche non dicono la verità. Ma non c'è nessuna ragione per cui le statistiche dell'Istat siano meno accurate di quanto lo fossero prima dell'introduzione dell'euro. Ed è probabilmente anche per questo protratto terreurismo che da noi il divario fra inflazione percepita (nei sondaggi presso le famiglie) e inflazione effettiva (quella rilevata dall'Istat) continua ad aumentare. Anche negli altri Paesi di Eurolandia, l'inflazione percepita è stata superiore a quella rilevata dalle statistiche. Ma il gap si sta chiudendo, mentre da noi aumenta. Anche altrove l'euro forte fa perdere quote di mercato e, nei sondaggi dell'Eurobarometro, perde gradimento. Ma mai come da noi: la percentuale di sostenitori dell'euro è calata di ben 12 punti negli ultimi 9 mesi.

Difficile trovare spiegazioni per questa nuova anomalia italiana. Forse è dovuta a quell'avversione per il metodo scientifico che, esplosa in occasione del caso Di Bella, ogni tanto riemerge. Forse è colpa dell'abitudine di molti organi di informazione a confezionarsi il proprio sondaggio e a dare credito ad ogni cifra senza riguardo per il metodo delle rilevazioni: l'Eurispes per esempio calcola l'inflazione dando lo stesso peso ai cambiamenti nel prezzo del pepe nero o del pane! Forse c'è stata in Italia una scelta politica di usare l'euro come arma per raccogliere consensi o delegittimare l'avversario.

Non sappiamo. Quello che è certo è che il terreurismo ha costi elevati. Innanzitutto, deprime i consumi, alimentando l'incertezza e la sfiducia presso le famiglie. Inoltre soffia sul fuoco della conflittualità proprio in periodi di vacche magre, in cui la produttività ristagna ed è difficile far ripartire i salari. Gli autoferrotranvieri nelle loro assemblee citano tassi di inflazione presunti del 20%, roba da un quarto di secolo fa. In terzo luogo, il terreurismo rischia di farci perdere l'unica notizia positiva venuta alla nostra economia negli ultimi anni: la crescita dell'occupazione. Perché se si percepiscono salari reali da fame, se si crede davvero che gli stipendi siano diminuiti, al netto dell'inflazione, del 20% (il «dato» dell'Eurispes), saranno in meno a voler prestare il loro lavoro. Meglio starsene a casa o fare altro.

Morale della favola: se c'è qualcuno che pensa di utilizzare l'inflazione da euro nella campagna elettorale, meglio che ci pensi due volte. Significa tirare un bel zappone sui piedi…. di noi tutti.

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