Da La Stampa del 02/02/2004

Osservatorio

Direttorio Ue, all'Europa sai non si gioca in tre

di Aldo Rizzo

Che fine ha fatto l'Italia? Questa domanda era nel titolo di un ampio articolo, pubblicato in questa pagina, su La Stampa di mercoledì scorso. L'autore era Dominique Reynié, un professore dell'Institute d'Etudes Politiques di Parigi, e dunque la domanda, relativa all'Italia come «illustre assente» sulla scena dell'Unione europea dopo la fine della sua presidenza di turno, era particolarmente intrigante, proprio in quanto proveniva da un paese che, con Germania e Gran Bretagna, sta dando vita a un vero e proprio direttorio europeo. «E l'Italia?», si chiedeva appunto Reynié. La domanda è tornata tre giorni dopo a Firenze, dove si svolgeva un convegno dei Ds sulla politica internazionale, per bocca dell'ex primo ministro portoghese Antonio Guterres, ora presidente dell'Internazionale socialista. Ma come, ha detto in sostanza Guterres, un paese che è sempre stato alla testa dell'integrazione europea, un paese «fondatore», si lascia escludere da incontri e contatti tra i «grandi» dell'Ue?

Sia il politologo francese che l'ex premier portoghese meritano ovviamente una risposta, tanto più che non sono i soli a porre il problema. Qualcuno, se Dio vuole, lo pone anche in Italia (a livello pubblicistico, in particolare, la rivista Affari Esteri nel suo ultimo numero, in un articolo del condirettore Achille Albonetti). La risposta non dev'essere emotiva, di orgoglio offeso o altro, ma attenta alla realtà delle cose.

Un primo dato di fatto è che questo cosiddetto direttorio sta diventando davvero qualcosa di serio e di concreto. Non si tratta più dei soliti incontri di consultazione, o comunque ai margini della normalità comunitaria, ma di qualcosa che si sta istituzionalizzando. Il vertice a tre fissato per il 18 prossimo a Berlino, secondo informazioni non smentite del Financial Times, non sarà uno scambio di idee di una o due ore, ma una vera e propria sessione diplomatica, con cinque o sei ministri per parte, gruppi di lavoro e così via. Del resto, il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, aveva già parlato di riunioni da tenersi addirittura «ogni sei settimane». Si aggiunga che non si scambiano più solo orientamenti politici, ma progetti concreti e importanti nei settori della difesa e dell'alta tecnologia.

Questo tipo di alleanza si è delineato più nettamente dopo il mancato accordo a 25 sul Trattato costituzionale, ma in un'intervista al Figaro Straw ha detto che, se e quando a un accordo costituzionale si arriverà, non verrà meno la necessità che i più forti paesi dell'Ue si costituiscano come gruppo o nucleo in proprio, poichè a 25, e domani a 27 o a 30, sarà praticamente impossibile giungere a decisioni significative ed efficaci su temi «strategici». E in questo, va detto, il capo del Foreign Office ha ragione. Con l'aggiunta, tuttavia, che andranno precisati il ruolo e la natura di questo gruppo o nucleo, rispetto all'Ue nel suo insieme.

E qui veniamo alle possibili risposte italiane. Una è quella di chiedere l'ammissione come «quarto grande», non per un posto a tavola, ma per partecipare a discussioni importanti per tutta l'Europa e anche ai progetti specifici d'integrazione industriale e tecnologica. Ma sia Berlusconi che Frattini hanno detto di essere comunque contrari a ogni leadership ristretta o elitaria dell'Ue. Un'altra risposta è dar vita a una controalleanza con Spagna e Polonia, ma sarebbe un errore inutile, perché aggiungerebbe un ulteriore elemento di divisione, senza poter competere con un trio tanto più forte. Resta una terza possibilità, che l'Italia riconosca, come il presidente Ciampi suggerisce da tempo, l'utilità di un'«avanguardia», ma dentro il quadro istituzionale dell'Ue e aperta a chiunque voglia o sia in grado di aderirvi, come appunto l'Italia, e altri eventualmente. Questo vorrebbe dire, in ultima analisi, riprendere un'iniziativa strategica e non solo tattica o reticente, sui grandi temi europei, ridiventare di fatto, e non per concessione altrui, protagonisti. È quanto chiedeva, su La Stampa, Reynié, e a Firenze Guterres. La parola è a Berlusconi, che ora rivaluta l'euro, ma anche, dall'opposizione, all'Ulivo, che può incentrarvi le imminenti elezioni europee, nel nome di Prodi. Prima che sia troppo tardi per gli uni e per gli altri, cioè per l'Italia.

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