Da Famiglia cristiana del 01/02/2004
Originale su http://www.sanpaolo.org/fc/0405fc/0405fc80.htm

Chi paga per Cernobyl

I tre quarti degli scarichi radioattivi dell’esplosione nella centrale nucleare del 1986 sono finiti qui. La massima parte dei fondi è invece andata alla vicina Ucraina. A Minsk e dintorni i bambini continuano ad ammalarsi e a morire, ma non ci sono abbastanza soldi per poterli curare.

di Fulvio Scaglione

«Per fortuna il vento non soffiava verso Kiev», scrissero molti giornali, russi ed europei, nei giorni successivi al 26 aprile 1986, data del disastro di Cernobyl, il più grave incidente nucleare nella storia del pianeta. Certo, le radiazioni avrebbero cancellato la capitale ucraina e spinto via due milioni e mezzo di persone. Avrebbero trasformato la città del monastero delle Grotte e della cattedrale di Santa Sofia, la culla del cristianesimo russo, con il magnifico centro dei viali e le colline affacciate sul maestoso Dnepr, in un desolato ammasso di edifici senza vita.

Il vento, però, da qualche parte soffiava. Non verso Kiev, ma verso nord-ovest, spingendo le radiazioni sulla Bielorussia, il cui confine si trova a otto chilometri dalla centrale. È stato calcolato che il 75 per cento degli "scarichi" radioattivi usciti dal quarto reattore di Cernobyl si riversarono sulla Bielorussia, soprattutto sulla regione di Gomel’, andando in molte zone ad aggiungersi al precedente inquinamento chimico.

Con qualche mistero: come poté succedere che a notevole distanza da Cernobyl, anche 200 chilometri, si registrassero livelli di radioattività pari a quelli rilevabili nel reattore distrutto? Secondo Aleks Adamovic, scrittore e giornalista bielorusso, alcuni reparti dell’Armata Rossa addestrati alla guerra chimica ricevettero l’ordine di "sparare" alla nube per impedirle di dirigersi su Mosca. Così la nube scaricò gran parte delle radiazioni sulla Bielorussia.


UN’ALTRA TRAGEDIA IGNORATA

Il risultato è che l’inquinamento nucleare ha colpito il 23 per cento del territorio bielorusso, 3.378 centri abitati con più di due milioni di abitanti. Secondo fonti governative, nel 2015 Cernobyl sarà costata alla Bielorussia 235 miliardi di dollari, cinque volte il Prodotto interno lordo del Paese nel 2000.

Come tante dell’ex impero sovietico, anche questa è una tragedia largamente ignorata. I Paesi occidentali si sono molto preoccupati dell’Ucraina, che con disperazione ha giocato per anni la carta Cernobyl, facendo leva sulla minaccia costituita dalla vecchia centrale, in parte ancora attiva, e soprattutto dal pericolante sarcofago del reattore esploso per ottenere finanziamenti.

Al confronto, la Bielorussia ha ottenuto poco, anche per i mutamenti politici intervenuti. Il primo presidente post-sovietico era Stanislau Shushkevic, un fisico nucleare noto per aver protestato contro la negligenza dei dirigenti di Cernobyl. Nel ’94, con le prime elezioni presidenziali dirette, Shushkevic fu battuto da Aleksandr Lukashenko, che avviò una politica autoritaria all’interno e di riavvicinamento alla Russia all’esterno. La prima ha prodotto frutti clamorosi: in polemica con le sue violazioni dei diritti umani, nel 2002, 14 Paesi dell’Unione europea (tutti, meno il Portogallo) hanno negato a Lukashenko e ai suoi collaboratori il visto d’ingresso.


EMERGENZA DAI TEMPI LUNGHISSIMI

Tra le altre conseguenze della rottura diplomatica c’è anche la sospensione di quasi tutti i programmi di aiuto finanziati dalla Ue. Sempre nel 2002, il progetto di unione politica con la Russia falliva al vertice di San Pietroburgo e la Bielorussia perdeva l’occasione di far passare sul proprio territorio, con lucrosi diritti di transito, il gasdotto che Mosca progettava per portare il gas siberiano ai consumatori europei.

In queste condizioni il Paese deve convivere con un’emergenza che ha i tempi lunghissimi dell’inquinamento nucleare. L’Unicef l’ha così sintetizzata: tra il 1990 e il 1994 l’aumento delle patologie tra i bambini bielorussi è stato del 43 per cento per il sistema nervoso e sensoriale, del 28 per il sistema digerente, del 62 per tessuti connettivi, ossa e muscoli. Nella regione di Gomel’, in particolare, l’incidenza del cancro alla tiroide nei bambini è cresciuta di 100 volte tra il 1991 e il 1994. Nello stesso periodo, nelle zone della Russia e dell’Ucraina toccate dalla contaminazione, l’aumento è stato "solo" di 10 e 7 volte.


TRE ISOTOPI PERICOLOSI

A 18 anni di distanza, tre isotopi sono presenti in misura importante nelle zone inquinate: cesio 137, stronzio 90 e plutonio 239. Quest’ultimo è praticamente eterno, ma è rilevato soprattutto vicino a Cernobyl. Lo stronzio 90 (tempo di dimezzamento: 29 anni) ha caratteristiche analoghe a quelle del calcio, che tende a rimpiazzare quale elemento costitutivo delle ossa, in cui accumula radiazioni. Il cesio 137, su cui lavora il professor Vasilyj Nesterenko, che qui di seguito intervistiamo, è invece analogo al potassio, altro elemento importante per l’organismo. Causa danni perché emette radiazioni gamma e beta, ma la sua presenza può essere ridotta o eliminata con diete speciali, soggiorni prolungati in ambienti non inquinati e altre cure che non sono, tra l’altro, particolarmente difficili o costose. Come sanno le decine di Ong italiane che aiutano i "bambini di Cernobyl" ospitandoli sulle nostre spiagge o montagne.

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