Da Il Manifesto del 02/03/2004

Dal Tigri al Caribe

di Marco D'Eramo

L'ombra di Papa Doc si staglia funesta dietro i marines americani che per l'ennesima volta si apprestano a rioccupare Haiti. Il primo sbarco era avvenuto nel 1915. Adesso come allora, Washington promette democrazia e prosperità. Oggi, come 89 anni fa, gli Usa si dicono pronti a organizzare un esercito e una polizia «rispettosi della legge». Nel frattempo si è passati da una dittatura all'altra, come quelle efferate dei Duvalier, il padre François (1957-71), detto Papa Doc, e il figlio Jean-Claude (1971-86): deve far riflettere che l'appena esautorato Jean-Bertrand Aristide fosse il primo presidente democraticamente eletto di Haiti.

Oggi, dopo l'interludio, la maledizione si ripete: sono tutti nostalgici di Papa Doc, o discendenti dei Tonton Macoute i ribelli che - con la tacita approvazione delle grandi potenze - hanno cacciato Aristide. Il popolo haitiano continua così a raccogliere i frutti di quasi un secolo di benevola sollecitudine da parte del grande fratello nordamericano: la quasi totalità della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e più della metà dei bambini muore prima di arrivare ai cinque anni.

L'economia di questa mezza isola è costituita da 8 milioni di miserabili e da poche migliaia di latifondisti (che pudicamente la Casa bianca chiama «agricoltori» con cui stabilire una coalizione di governo).

E la spirale non cessa di aggravarsi: più si restringe l'oligarchia finanziaria e fondiaria, più si allarga la massa dei nullatenenti, più s'incancrenisce il sottosviluppo. Nonostante sia il primo paese al mondo ad avere vinto (nel 1804) la lotta di liberazione contro lo schiavismo bianco, Haiti vive ancora in un regime di schiavismo informale, di feudalesimo rurale spinto al parossismo. La legge è quella dei pochi padroni, e dei loro sgherri assurti a esercito e polizia nazionali. Due secoli fa Saint-Domingue era una delle terre più ricche della terra, oggi è un inferno. E non c'è democrazia possibile senza almeno un accenno di spartizione delle ricchezze, senza che emerga l'embrione di una classe di lavoratori dipendenti con un potere d'acquisto al di sopra del livello di sussistenza.

I vecchi marxisti direbbero che non c'è rivoluzione politica senza un mutamento nel modo di produzione. Ma nella struttura sociale di Haiti nulla è cambiato, e gli Stati uniti nulla hanno fatto per cambiarla. È nel feudalesimo strutturale che va cercata la chiave del fallimento di Aristide, molto più che nelle (evidenti) défaillances caratteriali dell'ex parroco.

L'economia e la società di Haiti sono dispotiche: la democrazia vi è perciò precaria, effimera. Ecco perché la partenza di Aristide lascia l'amaro in bocca, quello di una speranza nutrita contro ogni razionalità e infine delusa, quello di un'occasione mancata, anche se l'insuccesso era annunciato. Sembra di assistere a un remake dell'horror centroamericano, già proiettato in Salvador, Guatemala, nella vicina Santo Domingo, in Nicaragua: il «cortile di casa» degli Stati uniti.

Ma stavolta ci sono due elementi nuovi. Il primo è che il «cortile di casa» si è allargato fino alle rive del Tigri e dell'Eufrate: la corrente del golfo del Messico è arrivata nel golfo Persico. Le promesse di democrazia ad Haiti si rispecchiano in quelle di un prospero futuro in Iraq.

Attraverso la simultanea presenza dei marines, Baghdad e Port-au-Prince si rimandano l'una all'altra, inviandoci un'immagine riflessa e disorientante della visione geopolitica statunitense.

Il secondo elemento è costituito dalla partecipazione francese alla forza «di pace», anch'essa illuminata per contrasto dalla questione irachena: Parigi si era opposta con i denti a un intervento in Iraq, mentre per la francofona Haiti l'ha quasi sollecitato, unendosi al coro che intona le magnifiche sorti e progressive dell'isoletta caraibica.

Ma anche se ora è intonato a due voci (tre con il Canada), non per questo l'inno all'imperialismo umanitario è diventato più veritiero.

Il più sarcastico commento al vangelo della legalità internazionale declamato dalle grandi potenze ce lo fornisce il contingente militare schierato intorno ai ruderi fumanti delle saccheggiate baraccopoli di Port-au Prince: mitra a vegliare su stracci.

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