Da Corriere della Sera del 12/03/2004

La guerra in Europa

di Sergio Romano

Ricercare le ragioni di un atto terroristico è un esercizio assurdo. Se fossero razionali e si ponessero obiettivi comprensibili, i terroristi non colpirebbero alla cieca e non farebbero strage di innocenti. Ma l’esercizio diventa ancora più complicato quando uno stesso atto terroristico può avere due matrici diverse e proporsi contemporaneamente due obiettivi. Non conosciamo ancora gli autori degli attentati di Madrid, ma sappiamo che fra le molte ipotesi possibili vi è quella di una «operazione congiunta» fra l’Eta e Al Qaeda, fra il terrorismo basco e il terrorismo islamico. La cosa non è inimmaginabile. Sappiamo che le brigate rosse ebbero contatti con i palestinesi e che Gheddafi fornì un aiuto finanziario al terrorismo irlandese. Non è escluso quindi che due nemici della Spagna si siano accordati per un’operazione che risponde, per ragioni diverse, agli obiettivi di entrambi. Benché sia difficile trattare un tale avvenimento con freddezza chirurgica non ci rimane che interrogarci sulle possibili ragioni della loro alleanza e sugli obiettivi che ciascuna di essi cerca di raggiungere. Per l’Eta le bombe di Madrid sono una forma di «campagna elettorale», un modo per ricordare alla Spagna che esiste, accanto alle molte questioni dibattute nelle scorse settimane dai due maggiori candidati, la questione dell’indipendenza basca.

Le organizzazioni terroristiche parlano con le bombe ed esistono agli occhi della pubblica opinione soltanto quando dimostrano capacità di imporre, con la violenza, la loro agenda. L’Eta sa che nessun leader spagnolo, in questo momento, può aprire il dossier basco. E sa verosimilmente che un atto così crudele potrebbe giovare in ultima analisi proprio a chi ha maggiormente combattuto il terrorismo basco. Ma non conosce altri modi per dichiarare al vincitore di domani: «Ci siamo anche noi e con noi dovrai fare i conti». Sorprende naturalmente la dimensione dell’attentato (il più grave da quando l’Eta ha cominciato la sua attività terroristica). Ma è probabilmente una specie di vendetta contro José Maria Aznar, l’uomo che negli scorsi anni ha dato prova di rigorosa inflessibilità e si è spinto sino a ottenere dalla magistratura spagnola la soppressione del partito che è stato per molti anni il prolungamento politico dell’organizzazione terroristica.

Considerato dalla parte di Al Qaeda l’attentato sarebbe ancora più facilmente comprensibile. Con una spregiudicata svolta strategica l’organizzazione di Osama Bin Laden avrebbe raggiunto numerosi obiettivi: avrebbe colpito sul suo stesso territorio un alleato degli Stati Uniti nella guerra irachena, avrebbe dimostrato di possedere una rete europea di straordinaria efficacia, avrebbe dimostrato di poter stabilire accordi operativi con un’organizzazione terroristica locale e creato in tal modo un mercato del terrorismo in cui aziende diverse possono accordarsi per una joint venture in cui ambedue hanno il loro tornaconto. Mi scuso per questo linguaggio economico e aziendale, ma credo che esso possa meglio di altri aiutarci a comprendere quello che è accaduto ieri in Spagna e che potrebbe accadere domani in altri Paesi fra cui il nostro. Se questa ipotesi è fondata la data di ieri sarà per molti aspetti più importante dell’11 settembre. La guerra si sarebbe spostata in Europa e avrebbe coinvolto nemici diversi in una stessa operazione eversiva. Non vinceranno, perché si scontreranno con la capacità di resistenza di una società democratica nel momento in cui è minacciata nelle sue stesse fondamenta. Ma è una guerra europea che l’Unione, d’ora in poi, dovrà combattere con un grado di unità e solidarietà molto più elevato di quello di cui ha dato prova negli scorsi mesi. Decideremo poi se quanto è accaduto ieri non debba considerarsi il risultato di una guerra irachena che sarebbe stato necessario combattere con altri strumenti. Per ora limitiamoci a constatare che questa è una nuova guerra, la nostra e che bisogna combatterla.

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