Da La Stampa del 18/03/2004

Le proteste sul web al decreto Urbani

Il cinema non si salva «vietando» Internet

di Anna Masera

Il decreto «salva cinema» approvato la settimana scorsa dal consiglio dei ministri ha scatenato le proteste su Internet. «Ma come, ci fanno comprare l’Adsl per scaricare musica e film e poi passano leggi che lo impediscono, che senso ha? Allora disdico la banda larga» è il tenore medio dei messaggi online (c’è già un sito per aderire alla protesta: http://no-urbani.plugs.it). Vale la pena cercare di capire questa ribellione, che nasce dal fatto che Internet fa ormai parte della vita dei giovani e che ha aperto una frontiera globale e totale di comunicazione multimediale, ha abolito le barriere per cui tutto è possibile, e rappresenta milioni di utenti in tutto il mondo che hanno adottato i nuovi media nel loro stile di vita.

Certo che il mercato nero dei film e dei dischi, che lucra sulle copie delle opere scaricate da Internet senza pagare i diritti d’autore, è illegale e non può essere giustificato. Ma un conto è il mercato nero, un conto sono le copie personali: su questo tema sono in corso ampi e combattuti dibattiti in Usa e in Europa. Il «decreto Urbani» è passato a due giorni dall’approvazione Ue della direttiva nota come «Ip Enforcement» (tesa a colpire la pirateria digitale), che alla fine ha riconosciuto agli utenti privati il diritto di «download» per uso personale dichiarando «non perseguibile» lo scaricamento domestico. Con il nuovo decreto salva-cinema chiunque diffonda via Internet un’opera cinematografica protetta da copyright, o anche parte di essa, sarà punito con una multa fino a 1.500 euro, non importa se lo fa per uso domestico e non a scopo di lucro. Non solo: i fornitori di connettività e di servizi in Italia devono impedire l’accesso ai materiali protetti da copyright o alla loro rimozione, segnalando inoltre ogni violazione, pena una sanzione tra i 50 mila e i 250 mila euro.

Le critiche? Si contrappone esplicitamente alla direttiva del Parlamento europeo, viola la privacy e riduce la libertà di comunicazione (un diritto garantito dalla Costituzione) - e con essa la possibilità che attraverso scambi e contaminazioni nascano nuove combinazioni: perché tanti pezzetti di film o musica ricombinati formano nuove opere artistiche, è la cosiddetta «cultura del remix» che fa parte della vita dei giovani d’oggi - a comportamento criminoso, pregiudicando le possibilità evolutive culturali e sociali, impedendo la competizione tecnologica ed economica tra le imprese. «Chi copia una musica, un film o un software dev'essere trattato come un terrorista?» riassume l’Alcei (www.alcei.it), l’associazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva.

Un tempo per uso personale i dischi si registravano su audiocassette e i film su videocassette con l’apposito videoregistratore: nessun problema per gli editori, perché gli originali risultavano di migliore qualità, la differenza era chiara. Oggi, grazie alle nuove tecnologie, si «scaricano» da Internet su cd o dvd e rischiano di assomigliare troppo agli originali. E grazie ai sistemi di scambio di brani online (il cosiddetto «peer-to-peer file-sharing»), musica e film anche di prima visione sono alla portata di un clic in tutto il mondo. Una rivoluzione digitale che ha sconvolto l’industria: tranne alcune eccezioni (per esempio il sistema di scaricamento online a pagamento iTunes della Apple, che permette di farsi compilation personalizzate), anzichè puntare su nuovi modelli di business, si arrocca e fatica a cogliere la necessità di innovazione del proprio modo di fare affari nell’era di Internet.

Eppure di proposte per ripagare gli autori ne sono arrivate tante, proprio da Internet: è nato un nuovo sistema di copyright più flessibile che mette in contatto diretto autori e pubblico per concedere la licenza d’uso by-passando gli intermediari, che si chiama Creative Commons (www.creativecommons.org); l’ultima è quella della Electronic Frontiers Foundation (www.eff.org): «tassare» chi scarica contenuti protetti da copyright con una cifra ragionevole ma non insignificante (5 dollari al mese a testa) da devolvere alle varie Siae. Perchè anzichè passare leggi che mirano a punire, industria, autori e autorità non vagliano queste proposte costruttive che arriva dal popolo della Rete?

Se è vero che il pubblico si è disaffezionato ai film e ai dischi incellofanati, è anche innegabile che Internet ormai è fra noi ed è esplosa con tutta la sua offerta multimediale e interattiva. E noi non siamo in Cina, dove fioccano le leggi per vietarla. Forse varrebbe la pena cercare di capire le ragioni del pubblico. Il ministro della cultura sostiene che 1.500 euro di sanzione a un ragazzo che si scarica un film sono «educativi». Le minacce di sanzioni e di persecuzione giudiziaria non educano: spaventano e, in democrazia, sono spesso controproducenti. Ma la legge è legge e chi si ribella deve attrezzarsi sapendo di rischiare una sanzione: non ci sarebbe da stupirsi se, per ottenere una riforma che tenga conto delle sue esigenze, il popolo della Rete si organizzasse politicamente.

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