Da La Stampa del 18/03/2004
Originale su http://www.lastampa.it/_web/_INTERNET/copyfight/archivio/copyfight0403...
Hollywood contro il peer to peer italiano
Un cittadino italiano viene diffidato dalla Motion Picture Association of America per aver scaricato da Internet filmati protetti dal diritto d'autore. E' la prima volta che accade nel nostro paese
di Stefano Porro
La longa manus dell'industria cuturale statunitense è arrivata anche nel nostro paese. Un provider italiano, di cui non è stato ancora reso noto il nome, ha ricevuto dalla Motion Picture Association of America (MPAA) una diffida formale che accusa un suo utente, Alessandro C., di aver condiviso abusivamente filmati e video attraverso il software di file sharing eMule.
L'associazione che tutela gli interessi delle major cinematografiche di Hollywood chiede la rimozione immediata dei file incriminati e avanza pesanti richieste di risarcimento invocando la normativa italiana sul diritto d'autore.
C'era da aspettarsi che, prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa del genere. Da tempo le big corporate americane stanno tentando di esportare a livello sovranazionale le restrizioni sancite dal Digital Millennium Copyright Act, un decreto approvato appositamente per combattere la diffusione di prodotti culturali (musica, filmati, libri) attraverso le nuove tecnologie digitali.
E non è un caso che il testo della diffida arrivata da oltreoceano citi proprio quel decreto legislativo (il 70 del 9 aprile 2003, ndr) che rende effettive nel nostro paese le limitazioni sul diritto d'autore varate dalla direttiva europea EUCD, a sua volta basata sui principi del contestato decreto statunitense.
Difficile prevedere quali saranno gli effetti dell'azione legale delle major hollywoodiane. Per il momento il provider italiano si è limitato ad avvisare il suo utente dell'accaduto, chiedendogli di sospendere la condivisione dei file incriminati attraverso le reti peer to peer, ma tutto lascia prevedere che la vicenda non sia finita qui.
La strategia delle associazioni come MPAA o la RIAA (che controllano la quasi totalità degli interessi del mercato mondiale della cinematografia e della musica) non è tanto quella di percepire danaro dalle azioni legali lanciate contro singole persone, quanto quella di scoraggiare la pratica di condivisione abusiva di file attraverso Internet. Lo sanno bene le varie migliaia di cittadini statunitensi che, solo per aver osato scaricare quallche file mp3 per uso personale, sono stati citati in giudizio e trattati alla stregua di criminali.
I navigatori italiani, al momento, non corrono rischi di questo tipo, anche se la nostra legislazione in tema di diritto d'autore rischia di diventare sempre più fumosa e difficilmente applicabile. Alcuni giorni fa il Consiglio dei ministri ha approvato il contestatissimo decreto antipirateria voluto da Giuliano Urbani che, se da un lato aumenta il controllo e le sanzioni nei confronti di chi condivide musica su Internet, dall'altro confligge apertamente con il rispetto della privacy degli utenti e con la nuova normativa europea sul copyright varata la scorsa settimana.
Al di là dei tecnicismi burocratici, c'è una sola evidente verità: le major del software e della musica vedono nel fenomeno del file sharing la principale causa del calo dei loro fatturati, e stanno facendo di tutto per reprimere il fenomeno. Considerando alla stregua di una minaccia da sconfiggere quell'immenso bacino di interessi, competenze e opportunità che potrebbe invece essere trasformato in un proficuo mercato.
L'associazione che tutela gli interessi delle major cinematografiche di Hollywood chiede la rimozione immediata dei file incriminati e avanza pesanti richieste di risarcimento invocando la normativa italiana sul diritto d'autore.
C'era da aspettarsi che, prima o poi, sarebbe accaduto qualcosa del genere. Da tempo le big corporate americane stanno tentando di esportare a livello sovranazionale le restrizioni sancite dal Digital Millennium Copyright Act, un decreto approvato appositamente per combattere la diffusione di prodotti culturali (musica, filmati, libri) attraverso le nuove tecnologie digitali.
E non è un caso che il testo della diffida arrivata da oltreoceano citi proprio quel decreto legislativo (il 70 del 9 aprile 2003, ndr) che rende effettive nel nostro paese le limitazioni sul diritto d'autore varate dalla direttiva europea EUCD, a sua volta basata sui principi del contestato decreto statunitense.
Difficile prevedere quali saranno gli effetti dell'azione legale delle major hollywoodiane. Per il momento il provider italiano si è limitato ad avvisare il suo utente dell'accaduto, chiedendogli di sospendere la condivisione dei file incriminati attraverso le reti peer to peer, ma tutto lascia prevedere che la vicenda non sia finita qui.
La strategia delle associazioni come MPAA o la RIAA (che controllano la quasi totalità degli interessi del mercato mondiale della cinematografia e della musica) non è tanto quella di percepire danaro dalle azioni legali lanciate contro singole persone, quanto quella di scoraggiare la pratica di condivisione abusiva di file attraverso Internet. Lo sanno bene le varie migliaia di cittadini statunitensi che, solo per aver osato scaricare quallche file mp3 per uso personale, sono stati citati in giudizio e trattati alla stregua di criminali.
I navigatori italiani, al momento, non corrono rischi di questo tipo, anche se la nostra legislazione in tema di diritto d'autore rischia di diventare sempre più fumosa e difficilmente applicabile. Alcuni giorni fa il Consiglio dei ministri ha approvato il contestatissimo decreto antipirateria voluto da Giuliano Urbani che, se da un lato aumenta il controllo e le sanzioni nei confronti di chi condivide musica su Internet, dall'altro confligge apertamente con il rispetto della privacy degli utenti e con la nuova normativa europea sul copyright varata la scorsa settimana.
Al di là dei tecnicismi burocratici, c'è una sola evidente verità: le major del software e della musica vedono nel fenomeno del file sharing la principale causa del calo dei loro fatturati, e stanno facendo di tutto per reprimere il fenomeno. Considerando alla stregua di una minaccia da sconfiggere quell'immenso bacino di interessi, competenze e opportunità che potrebbe invece essere trasformato in un proficuo mercato.
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