Da La Stampa del 03/04/2004
Originale su http://www.lastampa.it/_web/_INTERNET/copyfight/archivio/copyfight0404...

Libera cultura in libera rete

Esce negli Stati Uniti “Free Culture”, il nuovo libro di Lawrence Lessig

di Stefano Porro

Per quale motivo un numero sempre maggiore di governi e aziende sta cercando di mettere in catene l'informazione libera e anarchica che circola sulla rete? Perché le grandi major dell'industria culturale (prima tra tutte la RIAA, l'agguerrita associazione dei discografici statunitensi) insistono nel portare in tribunale migliaia di giovani ragazzi, la cui unica colpa è aver scaricato abusivamente qualche file sul proprio computer?

Perché avveneristici archivi online, dove le persone condividono gratuitamente opere d'arte e di letteratura, devono rischiare di essere chiusi, solo per aver pubblicato un poema protetto dal diritto d'autore? E per quale motivo il Congresso statunitense sta cercando di imporre una nuova legislazione che estenda all'infinito la durata del copyright sulle opere dell'ingegno, sebbene la Costituzione stabilisca che limitazioni di questo tipo possono esistere solo per un periodo di tempo limitato?

Sono le domande salienti poste da Lawrence Lessig nel suo nuovo libro “Free Culture”, uscito negli USA lo scorso 25 marzo per i tipi di Penguin (in Italia, invece, l'editore sarà Apogeo). Lessig, che insegna diritto all'università di Standford, si è affermato come uno dei principali esperti al mondo sulle scottanti questioni della proprietà intellettuale, difendendo in tribunale persone e imprese ingiustamente accusate di aver violato il diritto d'autore. Da alcuni anni sta conducendo una personalissima battaglia contro il Congresso statunitense che, dopo l'approvazione del Digital Millennium Copyright Act del 1998, sta puntando a una legislazione sempre più restrittiva sul copyright per favorire gli interessi delle grandi major del software e della musica.

Questo, almeno, è quanto sostiene Lessig che ha addirittura varato un progetto online per distribuire nuove licenze di copyright che tutelino gli autori senza però ostacolare la libera diffusione della conoscenza. Secondo il professore di Standford, “la vecchia nozione di proprietà intellettuale ha ormai ceduto il passo all'innovazione tecnologica e necessita quindi di una riforma radicale.

Peccato che l'industria culturale spinga esattamente nel senso opposto”. Lessig punta il dito contro Hollywood, Disney, Microsoft e tutte le corporation che hanno favorito da sempre una produzione culturale di tipo appropriativo, basata sul presupposto che idee, linguaggi e idiomi sono una proprietà industriale che deve essere tutelata a tutti i costi. Internet ha reso invece possibile una produzione e circolazione di saperi che solo pochi anni fa sarebbe stata inimmaginabile, scompaginando tutte le regole finora vigenti sulla proprietà intellettuale.

Lessig si addentra a piene mani, con dovizia di casi ed esempi che fanno riflettere, nella giungla del copyright, volgarizzando una materia ostica che però interessa la vita di tutti noi. E, per primo, cerca di dare il buon esempio. “Free culture” infatti è acquistabile in tutte le librerie, ma l'autore lo ha messo in versione integrale sul suo blog. Chiunque può scaricarlo gratuitamente, stamparlo, copiarlo e diffonderlo a sua volta, con l'unica limitazione di non trarne profitti e di citarne sempre la fonte senza alterarla. Alla faccia del copyright vecchio stile.

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