Da La Repubblica del 05/04/2004

Così i capi del commando terrorista conducevano una vita parallela al di sopra di ogni sospetto

Un barbecue con mogli e figli nove giorni dopo le stragi

di Carlo Bonini

Madrid - La fine di una banda di assassini, del «Cinese», del "Tunisino", dei loro quattro o forse più fratelli di odio, la si può raccontare dalla conclusione, la palazzina orba di Laganés, o dall´inizio, il "Locutorio Nuevo Siglo" di Lavapiés, bottega telefonica di Jamal Zougam, il primo arrestato, il maldestro trafficante di schede prepagate. O, forse, e meglio, la si può raccontare da dove la banda ha consegnato il suo volto, le sue voci, a chi le dava la caccia.

Dunque, da una strada sterrata che si annuncia al chilometro 14 della statale 313 ad est di Madrid. Il Camino de la Veredilla. Lungo questa carrareccia, il 20 marzo, sei uomini con le loro donne e i loro bambini si trascinano in un chiassoso e polveroso corteo di auto che porta a una modesta casa in muratura ad un piano.

All´ombra di un´incannucciata, riparata da un telone di nylon, viene accesa una parrilla, una griglia, e cotta la carne della Festa per il fine settimana di san Giuseppe. Sono passati nove giorni dalla strage dell´11 marzo. Jamal Ahmidan, Sarhane Ben Abdelmajid, Rachid Oulad con il fratello Mohamed, Agdennabi Kounjaa, Said Berraj mangiano, ridono, scherzano. Soprattutto, si sentono sicuri. Certi che nessuno li verrà a cercare lì. Perché nessuno sa che quella casa esiste, che loro la abitano ormai stabilmente dal giorno in cui, qualche settimana prima dell´11 marzo, hanno lasciato per sempre Madrid.

Sono così tranquilli che non solo non nascondono se stessi, ma neppure le loro donne alla curiosità dei vicini. La moglie di Ahmidan, il «Cinese», fa mostra di un piercing in bocca e sua sorella ha una lacrima tatuata sulla fronte. E´ una ragazza vistosa, che mostra la pancia e veste un top che scopre il seno e le spalle. In fondo, pensano i sei, in quell´angolo di campagna tra Madrid e Toledo sono al riparo. E dunque lì possono ben festeggiare san Giuseppe. Anche perché tutto, fino ad allora, è filato liscio.

In quella casa, del resto, sono arrivati nel dicembre del 2003 e a presentarsi come il padrone è stato Jamal Ahmidan, «il Cinese». I vicini, ammirati, lo vedono spesso risalire la sterrata su una moto, una Yamaha dal manubrio rialzato, tanto che nei giorni scorsi, ad un cronista del Paìs, che ne mostra una foto, confermano che sì, «era proprio lui l´uomo della casa». Ai vicini, Jamal appare uomo generoso e «ricco» e il giorno in cui c´è da tassarsi per tirare una strada campestre che attraversa i poderi, tira fuori dalla tasca un rotolo di biglietti da cinquanta euro, ne porge due scusandosi per non avere tagli più piccoli. «Vi farò avere i dieci euro che mancano», dice. Ma lo dimenticherà.

Nella casa, la settimana prima della strage, Jamal, il «Tunisino» e i loro fratelli di odio hanno lavorato alla confezione delle bombe di cui imbottire i treni della morte. Sul tetto hanno alzato una rudimentale torretta che funziona da osservatorio sulla campagna circostante. Di cui i vicini ignorano la funzione di sorveglianza, ma che proprio per questo si fissa nei loro ricordi. Di più: in quella casa, direttamente collegata con i mezzi pubblici alla stazione madrilena di santa Eugenia, hanno pianificato - come accerterà solo l´ultima settimana di marzo l´Antiterrorismo - i sopralluoghi alle stazioni che dovranno raggiungere i «treni della morte». Da quella casa, si sono mossi per raggiungere Mocejon e fare i sopralluoghi lungo la linea dell´Alta velocità Madrid-Siviglia che è il secondo dei loro obiettivi. Quello che inutilmente tenteranno di colpire la scorsa settimana. E ancora in quella casa, qualche giorno dopo l´11 marzo, Ahmidan ringrazia di cuore una vicina che si è preoccupata per non averli visti per qualche giorno. La donna sa che vanno a Madrid. Teme siano rimasti coinvolti nel giovedì di sangue e - come avrà modo di raccontare successivamente alla polizia e al quotidiano spagnolo El Paìs - quando, giorni dopo l´11 marzo, ha modo di incrociare nuovamente il «Cinese», nell´ascoltare la sua apprensione, lui sorride: «Grazie signora, grazie. Sto bene. Ma comunque a Madrid vado sempre in macchina».

In realtà, il 20 marzo, il giorno della parrilla e della Festa, l´Antiterrorismo è a un passo dalla sterrata di Chinchon. Il 14 di quel mese, i numeri delle schede telefoniche prepagate cui porta il filo delle utenze sviluppate attraverso l´esame delle conversazioni di Jamal Zougam ha ridotto la ricerca a pochi numeri. E uno di quei numeri, proprio il 14, si accende nella «cella» telefonica che serve l´area di Morata de Tajuna e Chincon. Una zona troppo vasta per essere battuta tutta e subito. Che richiede un lavoro discreto. Non breve. Che si concluderà troppo tardi, quando i sei maghrebini hanno ormai avuto tempo sufficiente per cambiare aria e spostarsi altrove. In quell´appartamento di Laganès che forse ha affittato Asri Rifaat Anouar, uno dei cadaveri di calle Carmen Martin Gaite cui l´indagine ancora non attribuisce un ruolo definito. Dove i telefoni li tradiranno un´altra volta. L´ultima.

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