Da Il Mattino del 07/04/2004
«Antica Babilonia» risucchiata dal vortice della guerra
di Vittorio Dell'Uva
Poco importa se abbiano o meno marciato assieme ai marines e ai «topi del deserto» britannici, quando Bush decise che i santuari del terrorismo andavano distrutti anche dove non c’erano.
Le semplificazioni cui è indotto un Paese sotto pressione per una guerra che sta diventando civile e che non tengono troppo conto dei «se», dei «ma» e dei mille distinguo della politica, contengono in sé un virus letale. Se le «missioni di pace» diventano, per motivi di sicurezza, aspetto di una più globale «normalizzazione» di marca occidentale, non c’è militare che possa sottrarsi alla accusa di «occupante» che partita dalla guerriglia filo-Saddam, è stata adottata dalle fazioni irachene impegnate con atti di forza a porre opzioni sul futuro potere. Il mito della «brava gente d’Italia» può non bastare, come polizza d’assicurazione, quando bersaglieri e marines escono con i loro blindati dalla stesso varco della superprotetta base militare di Tallil.
È a rischio un lavoro di ricostruzione del tessuto sociale e produttivo che pure nel corso di mesi era stato portato avanti dal contingente italiano senza troppo agitare i bastoni, anche quando c’era stato il trauma dell’attacco, con 19 morti, alla casermetta dei carabinieri di Nassiriya. Se un giovane imam di Najaf riesce a mobilitare le masse di periferia, imponendo regole proprie in non poche città, vuol dire che il rigetto dei «corpi estranei» può trasformarsi in un processo di massa che prescinde dalle strategie al veleno dei pensionati del partito Baath e dalla offensiva di un terrorismo di matrice islamica cui la guerra ha spalancato le porte dell’Iraq.
Molte delle garanzie che da vecchi intelocutori locali erano con il tempo venute per gli italiani sono fatalmente destinate a dissolversi di fronte ad un furore religioso-rivoluzionario che di patti stipulati da altri non ha alcuna voglia di tenere conto. Per paura o per calcolo i capitribù che andavano a cena sotto la tenda degli italiani potrebbero perdere, uno dopo l’altro, i livelli di affidabilità che si erano anche da soli attribuiti.
Può contare poco che gli ufficiali del Genio abbiano ricostruito le scuole o ridato alla regione energia resuscitando centrali e impianti del gas. I feeling possono avere breve durata se nascono da un coinvolgimento voluto da chi, pur di dichiarare la guerra, ha sottovalutato le pulsioni del dopo.
Le semplificazioni cui è indotto un Paese sotto pressione per una guerra che sta diventando civile e che non tengono troppo conto dei «se», dei «ma» e dei mille distinguo della politica, contengono in sé un virus letale. Se le «missioni di pace» diventano, per motivi di sicurezza, aspetto di una più globale «normalizzazione» di marca occidentale, non c’è militare che possa sottrarsi alla accusa di «occupante» che partita dalla guerriglia filo-Saddam, è stata adottata dalle fazioni irachene impegnate con atti di forza a porre opzioni sul futuro potere. Il mito della «brava gente d’Italia» può non bastare, come polizza d’assicurazione, quando bersaglieri e marines escono con i loro blindati dalla stesso varco della superprotetta base militare di Tallil.
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