Da La Repubblica del 09/04/2004

Condoleezza non si scusa

di Vittorio Zucconi

La caccia all´anatra selvatica, come si dice nello slang politico degli Stati Uniti, la spedizione dei dieci commissari d´inchiesta sull´11 settembre che speravano di impallinare George Bush con le sue bugie usando come richiamo la consigliera Condi Rice in diretta nazionale, è rimasta per ora con il carniere vuoto. Molta attesa, molta tensione, molte schermaglie, molto fragore, molti scoppi, ma nessun centro.

Non sono usciti documenti shock, rivelazioni, pistole fumanti che abbiano scosso una nazione collegata in diretta da tutte le network e abbiano confermato o smentito quello che in molti pensano, che Bush e il suo entourage di fanatici abbiano sciaguratamente ignorato o sottovalutato la minaccia di Al Qaeda peggio di quanto avessero fatto i clintoniani, chiusi nella ossessione di famiglia per Saddam. Il giudizio finale su questo presidente prima e dopo l´11 settembre deve rimanere, anche dopo il "giorno storico" della sua consigliera a alla sbarra, un giudizio politico. Fare un processo alle intenzioni è sempre, almeno in una nazione passabilmente civile, assai difficile, e la signora è riuscita, dopo quasi tre ore, a ripetere che i giudizi a posteriori sanno appunto di processo alle intenzioni e di «sarebbe, potrebbe, dovrebbe». È stata lei, e non i dieci inquisitori che avevano negoziato con Bush per settimane la sua deposizione giurata, a uscire «senza lividi», come ha ammesso il Washington Post, e quindi meglio, dal confronto con questa commissione. L´esito non può sorprendere chi la conosce e chi sa con quale puntiglio, diligenza e garbata arroganza, "Brown Sugar", come la chiamavano in famiglia, abbia saputo arrivare alla posizione che occupa, partendo dal nulla del razzismo. E l´essere in una stagione elettorale garantisce che ogni accusa possa sempre essere rintuzzata da chi la subisce come "elettoralistica".

Gli ex politici di ambo le parti che formano la commissione partivano in svantaggio davanti alla cinquantenne "single" dell´Alabama con obbligatoria bandierina americana appuntata alla giacca del tailleur ghiaccio, che a 5 anni già sapeva leggere gli spartiti come Mozart, a 19 si era laureata in scienze politiche, a 23 era "Philosophiae Doctor" e a 30 era amministratrice della illustre Stanford University, culla di premi Nobel e alma mater della meglio gioventù americana. Qualche ultrà della destra aveva risibilmente osato temere che dalla deposizione giurata di questa figlia del profondissimo sud più torvo e razzista, la Birmingham d´Alabama dove le sue coetanee finivano dilaniate nelle chiese bombardate dai terroristi bianchi e cristiani del KKK, potessero sfuggire segreti imbarazzanti per George. Non conoscevano Condi, che non soltanto non ha rivelato nulla che già non si sapesse, che ha facilmente spuntato le rivelazioni dell´ex capo dell´antiterrorismo, Dick Clarke sulla indifferenza di Bush davanti ad Al Qaeda, ma ha ricordato a chi ascoltava che semplicemente «non esiste il proiettile magico», il «silver bullet» che avrebbe potuto evitare le Torri Gemelle.

La sua tesi, difesa con la puntigliosità di un dottorando secchione davanti a una commissione di laurea, è questa: non si possono lanciare azioni nette davanti a indicazioni vaghe.

Certamente, Bush e i suoi profeti della guerra preventiva avrebbero potuto fare molto di più per prevenire l´11 settembre, come i pochi inquisitori democratici che hanno cercato di drammatizzare il "Condi Show" hanno tentato di dire. Avrebbero dovuto e potuto prendere più sul serio gli avvertimenti di Clarke, i segnali necessariamente incerti che sempre vengono dall´intelligence e i suggerimenti ricevuti dal presidente uscente, l´odiato Clinton. E le famiglie dei morti di Manhattan, presenti nell´aula parlamentare, hanno comprensibilmente rumoreggiato e polemicamente applaudito quando si è arrivati alla sola, possibile pistola fumante, a un Pdb, al Presidential daily briefing del 6 agosto quando, appena un mese prima del massacro, a Bush fu scritto sul rapporto mattinale per il presidente che qualcosa di «molto, molto, molto grosso» stava per abbattersi sull´America.

Nulla si mosse. Ma la condanna contro questa Amministrazione deve restare, se la si vuole emettere, una condanna politica, non giudiziaria. Non ci saranno mai prove che Bush, Cheney, Rumsfled, Wolfowitz e la loro cabala dei falchi neoconservatori abbiano negligentemente ignorato Al Qaeda per fissarsi sulla ideologia della «democrazia da esportazione» e sulla vendetta contro il nemico di famiglia dei Bush, Saddam. E la Rice, che è troppo colta, troppo intelligente, dunque troppo cinica per farsi rinchiudere nelle gabbiette delle i deologie, ha avuto gioco facile nello zittire gli inquisitori a colpi di parole grosse, «strutturale», «sovrastrutturale» e «storico», di distinzioni fra «scelte tattiche» e «risposte strategiche», intessute attorno allo stesso argomento centrale, che le indicazioni del controspionaggio e gli avvertimenti ereditati dalla presidenza Clinton, erano «troppo vaghe» perché la Casa Bianca potesse agire.


Poiché cultura accademica non è necessariamente sinonimo di onestà intellettuale, la dottoressa ha talvolta scoperto il gioco della insincerità morale di questa Casa Bianca, che non agì prima dell´11 settembre perché le prove erano «troppo vaghe», ma non esitò invece a invadere l´Iraq sulla base di prove altrettanto vaghe e addirittura inesistenti. Un senatore la ha accusata di fare la "filibustiera", nel significato parlamentare del "filibustering", del parlare a lungo per accorciare il tempo delle domande, ma Condi Rice è troppo superba per chiedere scusa, come è stata invitata a fare nel solo momento che l´ha vista vacillare. Scuse, sentenze e condanne politiche non spettano a lei, la Machiavelli dell´Alabama, la prima donna e prima donna di colore a sedere sul trono di massimo consigliere imperiale. La sentenza spetterà all´elettorato americano che il 2 novembre dovrà giudicare se Bush quel giorno abbia dormito o, peggio, mentito.

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