Da La Repubblica del 11/04/2004

Trieste spalle all´Europa isolata dai fantasmi del '900

Non festeggia l´Unione ma l´anniversario del ritorno in Italia

Nessuna eredità in comune con i vicini, qui anche l´Austria è ancora il nemico
Mezzo secolo a piangere sul "confine infelice" ma ora che l´Ue si apre all´Est nessuno ne approfitta
Una città in declino che avrebbe bisogno di Grandi opere per entrare nel nuovo scenario mercantile

di Paolo Rumiz

TRIESTE - Discese in kajak, treni storici, concerti, incontri di calcio, feste della frittata e della salsiccia. Kermesse ovunque, sui duecento chilometri di confine da Tarvisio al Carso, lungo i fiumi, i vigneti e le colline che videro gli orrori della Grande Guerra e poi la divisione della Cortina di ferro. Il primo maggio la Slovenia entra in Europa, e tutti si muovono per salutare l´evento. Tutti tranne Trieste. Il capoluogo, il luogo-simbolo delle ferite del secolo ventesimo proprio ora cancella l´Ostpolitik, pare quasi inghiottita dalla sua leggenda di fantastico «non luogo», dalla penombra dei suoi caffè, dalla stessa geografia.

Trieste. Per cinquant´anni a piangere sulla sua posizione di binario morto, lontano dai grandi traffici e dall´Italia che conta. Mezzo secolo a dire: ahinoi, mutilati dalla geopolitica, strozzati da un confine infelice. Noi dimenticati da Roma, noi ex porto di un grande impero, l´Austria. Ebbene, proprio oggi che la marginalità finisce e il retroterra si riapre fino ai Carpazi come ai tempi di Cecco Beppe, Trieste si defila. Si fanno convegni, ma il resto è silenzio. Tra Baltico e Adriatico forse non esiste luogo dove il primo maggio sia vissuto con più indifferenza istituzionale. E´ come se la data riguardasse solo Gorizia, la piccola Berlino dove si concentreranno gli eventi più simbolici, presente il capo della commissione Ue, Romano Prodi.

Succede quello che era prevedibile. A differenza di Gorizia, l´»Italianissima» ha una giunta con dentro An. Un´An speciale, quella avanguardista di Roberto Menia & c., cui la lingua slovena, il 25 aprile e persino i viaggi di Fini in Israele danno il mal di pancia. Figurarsi il primo maggio. Una destra che per cinquant´anni ha evocato l´incubo del nemico slavo-comunista e ora tiene sotto controllo la giunta retta da un sindaco di Forza Italia. Confine, esodo, foibe, titoismo: insuperabili rendite politiche in una città ferita dalla storia. Ma ora che il nemico non c´è più? Che fare ora che il comunismo è sepolto, ora che gli sloveni escono definitivamente dai Balcani e diventano europei? Che fare, ora che il re è nudo?

Si piglia al volo l´ultimo possibile salvagente. Il 1954, il cinquantenario del ritorno di Trieste all´Italia, dei fanti piumati che corrono tra ali di folla a dire che Trieste è libera dall´incubo di un´annessione jugoslava e dall´occupazione anglo-americana. Un grande, grandissimo evento. Una torta ben finanziata, anche. Ma soprattutto l´occasione per collocare il 2004 in una cornice più familiare alla destra: vessilli, fanfare, labari e tamburi. Un´evento che avrà un magnifico preludio, l´adunata degli alpini, in programma per maggio.

Non c´è limite di spesa per i kit tricolori in distribuzione alle scuole, zainetti, bandiere e annessi, o per coprire Piazza Unità di un bianco-rosso-verde da Guinness dei primati. Per le bandiere d´Europa, invece, poco o nulla.

Che dire della giornata della memoria sulll´esodo istriano e le foibe, votata proprio a ridosso dal primo maggio? Una legge che poteva essere base di riconciliazione, diventa un´esca perfetta per le Destre d´oltreconfine, prontissime a stare al gioco, a tirar fuori gli orrori antisloveni del fascismo, a costruire i loro sacrari, a votare il loro giorno del ricordo. «Che altri possano avere la loro memoria - spiega il sociologo Paolo Segatti - non c´è da stupirsi. Il drammatico è che a pochi giorni dal primo maggio nessuno abbia creato un ponte fra queste memorie divise. Anzi, oggi le memorie sembrano più blindate di un anno fa».

Così, quelli che non sono d´accordo vanno a Gorizia. E chi si ostina a festeggiare a Trieste, lo fa quasi di nascosto. «Faremo un incontro con vini del Collio sloveno e del Collio italiano, verrà la banda in piazza e gente da Lubiana» racconta un ristoratore triestino che chiede un l´anonimato. «Ma - aggiunge - mi guardo bene dall´annunciarlo, per evitare che mi mettano i bastoni fra le ruote. Di questi tempi bisogna lavorare a quota periscopio». A Trieste tutti rapporti di confine, in vista del primo maggio, sembrano scivolare nelle catacombe, quasi una cospirazione carbonara.

Mentre la Regione costruisce la sua diplomazia da euro-regione, a Trieste ricominciano con la vecchia italianità funeraria. «Non vedo l´ora che passi il 2004» si sfoga un giovane di Alleanza Nazionale. «Qui si pensa solo ai fantasmi». La Germania ha avuto quindici milioni di profughi, ma nessuno a Berlino pensa a evocarli nel momento dell´abbraccio alla Polonia e alla Repubblica Ceca. Qui - e di conseguenza anche nel resto d´Italia - si parla dell´Esodo come di un evento unico, come se la sua storia non ci affratellasse ad altri europei, come se il conflitto non l´avessimo cominciato noi, come se le Foibe non avessero inghiottito migliaia di persone anche dall´altra parte della frontiera.

«Entriamo in Europa come cani e gatti», lamenta Franco Juri della vicina Capodistria, ex parlamentare liberale a Lubiana, preoccupato anche dalla deriva nazionalistica dei giornali di casa sua. «C´è un´assoluta mancanza di fiducia che inibisce e blocca i progetti comuni». Il bello è che a Trieste anche la comunità slovena vive con apprensione l´evento. Senza mai affermarlo apertamente, teme di forse essere meno minoranza, di avere meno protezioni, di ora che scatta il ricongiungimento con i fratelli di lingua e cultura. La rendita di posizione del confine cade anche per loro. Esattamente come per i tedeschi del Sudtirolo, coccolati da Roma e Vienna e ora inquieti per l´effetto egualitario dell´Europa.

Eredità asburgica in comune? Ma per carità. Già la statua di Sissi imperatrice, piazzata dalla vecchia giunta di sinistra davanti alla Stazione, è vissuta come un insulto. L´Austria è ancora il nemico, non passa lo stranier. «Qui conta solo il 1918, la vittoria sull´Austria» ricorda Menia a chi evoca altre memorie. Del resto, che ci starebbe a fare il sacrario di Oberdan? E tutti i sacrari eretti dal fascismo a dire che le nuove terre erano italianissime e ammonire i barbari sul confine? Ma quale Europa: il 2004, a Trieste, è solo l´anno per dire che questa è una terra italiana senza «sì» e senza «ma».

Dove va Trieste? Il polo scientifico brilla nella costellazione della ricerca mondiale, ma il resto ansima. Il porto è in mano a un commissario; l´aeroporto in stallo; i collegamenti ferroviari col resto del Paese fanno pena; i treni da Udine all´Austria si sono ridotti a due nonostante una costosissima rettificazione della linea. Quelli per la Slovenia sono inesistenti o tartarughe. Vienna non è collegata più a Trieste da anni e il Corridoio europeo numero Cinque per Lubiana-Budapest-Kiev resta nel mondo dei sogni. Il mitico bazar dei Balcani è ridotto a poche bancarelle. Le squadre di pallacanestro e pallavolo sono in zona retrocessione. Solo la Triestina-calcio tiene duro.

Vienna, ovviamente, non dorme. Avrà anche Haider, ma con la Slovenia lavora eccome, approfittando dello stallo di Trieste. Il porto di Capodistria è pieno di capitali austriaci, i suoi magazzini sfoggiano un´efficienza stile Hong Kong. Nella stessa cittadina, pezzi del centro storico a forte impronta veneta sono passati al Casinò Austria. Attraverso la Banca di Stiria, la Conferenza episcopale di Graz entra alla grande nei media sloveni e addirittura stampa a sue spese duecentomila copie un giornale gratuito con ovvio effetto-dumping. E non basta. Mentre il San Paolo-Imi sollevava allarmi - infiltrazione capitali italiani! - per l´ingresso nella Banca di Capodistria, altri tre istituti di credito sloveni passavano silenziosamente in mano ai vicini d´Oltralpe.

«Dobbiamo muoverci prima di essere chiusi a Nordest» spiega il governatore della regione, Riccardo Illy, da strenuo supporter del corridoio Cinque, la linea europea ferroviaria e stradale che consentirebbe alle industrie padane di esportare a Oriente via Trieste-Slovenia senza pagare pedaggi ai tedeschi. «Purtroppo - spiega Illy - su questo tema ho notato un´incomprensibile inerzia tra gli imprenditori del Nordest. Spesso abbiamo dovuto muoverci da soli». Viaggia per conto suo il presidente della regione, pendolare ostinato tra Bruxelles e Lubiana.

Ma la situazione è difficile. «Dalla Slovenia - racconta Illy - tutti i collegamenti con l´Est, ferroviari e non, passano per l´Austria. E la Germania è riuscita a farsi garantire dall´Europa tariffe speciali per i suoi porti. Tariffe che erano giustificate dalla divisione della Germania o dai costi della riunificazione, che oggi non avrebbero più motivo di esistere».

Si spalancano le porte d´Europa, ma per Trieste la strada è tutta in salita.

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