Da Famiglia cristiana del 18/04/2004
Originale su http://www.sanpaolo.org/fc/0416fc/0416fc56.htm

L’Italia si mobilita per aiutare il grande "vicino"

Un futuro per l’Africa

Creare un movimento di solidarietà che porti a una politica nuova: parlano Veltroni e Pezzotta.

di Luciano Scalettari

È la prima volta. La prima grande manifestazione che viene realizzata, non solo in Italia ma in tutta Europa, a favore dell’Africa: la città di Roma, i sindacati, il mondo missionario e del volontariato si sono mobilitati per dire "L’Africa esiste, l’Africa ha dei problemi, l’Africa mi sta a cuore", come sottolineano Savino Pezzotta e Walter Veltroni, che per primi hanno lanciato l’idea di Italiafrica 2004. In questi giorni in tutta la capitale si realizzano iniziative, mostre, dibattiti perché il continente nero sia meno dimenticato. L’evento culminerà sabato 17 aprile col corteo da piazza Barberini a piazza Del Popolo, dove si svolgerà il grande concerto finale.

Molti i promotori: oltre al Comune di Roma e a Cgil-Cisl-Uil, anche Fao, Ifad, Wfp, Unicef, le Ong italiane, Comunità di Sant’Egidio, Forum del terzo settore, il Comitato cittadino per la cooperazione e la solidarietà, Wwf Italia, gli Istituti missionari. I temi sono le sei gravi piaghe che affliggono il continente: cancellazione del debito, aiuti allo sviluppo, accesso a farmaci e vaccini, embargo sulle armi, democrazia e tutela dei diritti umani, prevenzione dei conflitti.

Perché parlare di Africa? E come parlarne? Quale futuro per un continente che sembra alla deriva? Ne abbiamo discusso con il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta, e con il sindaco di Roma Walter Veltroni.


Il Papa ha spesso sottolineato che i Paesi ricchi non hanno rispettato gli impegni presi con l’Africa. Italiafrica chiede di mantenere le promesse?

Pezzotta. «Se decine di migliaia di persone scendono in piazza per chiedere una maggiore attenzione all’Africa, si dovrà fare i conti con tale realtà. Questo è il dato vero. È un’azione politica, che cambia il significato di ciò che stiamo facendo.»

Veltroni. «Perciò il primo fatto importante è esserci, ed essere in tanti. Vuol dire mettere l’Africa all’ordine del giorno di un’agenda che non la contempla. Vi sono tanti altri problemi, dal calcio ai ponti, ma non l’Africa. È rompere il muro del silenzio per fare i conti con questa dimensione del dolore e dell’ingiustizia, che è un grave senso di colpa collettivo. Né i governi né le nostre coscienze lo possono più ignorare. Oggi sembra più importante la nomination del Grande Fratello che l’Africa. I problemi che viviamo, tuttavia, non sono dovuti al Grande Fratello ma alla povertà, al fondamentalismo, al terrorismo.»


Per questo dovremmo interessarci dell’Africa?

Pezzotta. «Dobbiamo occuparcene innanzitutto perché è ai nostri confini, forse non ce ne rendiamo conto. È a due ore da noi, piena di fame, miseria, guerre. Possiamo rimanere indifferenti? È miope pensare a questo confine come barriera che trattenga gli africani. Ho visto manifesti elettorali che dicono: "Non li abbiamo lasciati entrare". È un capovolgimento della nostra cultura. Noi siamo al confine per guardare, per capire ciò che accade oltre. L’Africa interpella la nostra coscienza. Anche dal punto di vista economico può essere la nuova frontiera: investire in progetti che invertano l’impoverimento è davvero svantaggioso per l’Europa? Senza contare che l’Africa non è solo miseria e malattia, ma anche cultura, musica, colore, e una realtà di relazioni umane diverse, che può aiutare l’Occidente.»

Veltroni. «La questione riguarda sia quelli che hanno la coscienza sia quelli che non ce l’hanno. I primi, perché sbagliano a non sentire la disuguaglianza e l’ingiustizia come qualcosa che dà senso e motivazione alla politica e alla coscienza civile. Oggi l’Africa è una sfida epocale, come un tempo lo fu la lotta allo schiavismo, alla discriminazione femminile, allo sfruttamento nelle fabbriche. Eppure non la percepiamo come tale. Per quelli che non hanno coscienza, invece, vale il vecchio detto: o noi ci occupiamo dell’Africa o l’Africa si occuperà di noi, nel senso che la sua tragedia ci arriverà in casa, in termini di un’immigrazione non contenibile perché dalla disperazione si scappa, come noi siamo andati dall’altra parte del mondo nelle stive della terza classe delle navi.»


Cosa c’è da imparare dall’Africa?

Veltroni. «La prima volta che ci sono andato mi sono trovato di fronte a una dimensione epica che non conosco più. Qui è tutto piccolo e lì è tutto grande, qui contano le nuove funzioni del telefonino, là contano la vita e la morte. In Africa ci sono un giorno e una notte della vita che non abbiamo più, da noi è sempre pomeriggio. Forse per questo siamo i più grandi frequentatori di psicanalisti. Secondo la nostra logica, gli africani dovrebbero piangere tutto il giorno. Non è così: è il continente dell’energia e della vitalità. Inoltre, l’Africa ti chiama in causa per quello che puoi fare: sai che con 10 euro permetti a una ragazza di andare a scuola per un mese. Le due esperienze più drammatiche e straordinarie della mia vita sono state Auschwitz e l’Africa. Quando hai visto il passato dei lager e il presente dell’Africa, hai capito tutto ciò che non deve essere, e per converso ciò che può essere.»

Pezzotta. «Non solo. Ci sono elementi che l’Occidente deve riscoprire: la gratuità; la possibilità dello stare insieme, del gioire, del danzare; il senso del mistero che sta dentro la natura. Questi valori mi sferzano, mi sollecitano a vivere in modo più autentico. Nello stesso tempo, i drammi dei Paesi africani mi ricordano che è l’Europa che li ha impoveriti. Bisogna restituire quello che si è tolto, e recuperare dal punto di vista culturale. Altrimenti l’Occidente si ripiega nel suo presente, e il suo presente diventa violenza per difendere sé stesso.»


Ma la manifestazione non rischia di ridursi a un semplice spettacolo, povero di contenuti?

Pezzotta. «No. È l’occasione per fare un salto in avanti: questo incontrarsi diventa un dato politico, e un pungolo verso chi ci governa. Ad esempio, il presidente Berlusconi al G8 di Genova disse che avrebbe elevato all’uno per cento del Pil i fondi per il Terzo Mondo. Nelle Leggi finanziarie non ce n’è traccia. Anzi, siamo allo 0,16 per cento. Lo stesso 8 per mille che va allo Stato non viene usato per la solidarietà ma per la sicurezza. Questo accade perché non c’è un’opinione pubblica che si esprime e giudica col voto questi fatti.»


Il 18 aprile, il giorno dopo, cosa resterà della manifestazione?

Veltroni. «Questo evento non conclude, ma inizia qualcosa. Da Italiafrica può nascere un grande Comitato nazionale per l’Africa, che si dia un programma. Per nessuno di noi è un punto di arrivo, ma una tappa di un lavoro cominciato da tempo. Se cinque anni fa qualcuno avesse proposto una cosa del genere, sarebbe stato portato via con la camicia di forza. Oggi la si realizza, è già una rivoluzione. Dovremmo essere un comitato che fa pressione su chiunque governi, perché prenda le iniziative necessarie. Questo è un Paese generoso, se gli chiedi generosità. Ma se gli domandi egoismo magari restituisce egoismo. Abbiamo proposto ai ragazzi di alcune scuole romane di raccogliere fondi per fare una scuola in Africa. Si sono scatenati con iniziative, spettacoli, mercatini. Se nessuno gliel’avesse chiesto, forse avrebbero usato quelle energie diversamente.»

Pezzotta. «La manifestazione mostra soltanto le forze in campo, ma queste reti della solidarietà continueranno a operare. I missionari, i volontari, le associazioni avranno un nuovo punto di riferimento per fare una battaglia politica, e per ritrovarsi, fra un anno o due, a verificare gli obiettivi che si sono dati, a rilanciare nuovi risultati da conseguire.»


Questo evento ha una particolarità: non è "contro" ma "per" qualcosa…

Veltroni. «Qui non c’è un nemico. Il nemico è l’indifferenza. È una manifestazione contro noi stessi e per un continente dimenticato, di cui i mass media non parlano. Il che è il massimo della difficoltà possibile. Inoltre, è un evento che unisce e non divide: le adesioni sono venute da tutte le matrici culturali e politiche. Ciò che conta è la condivisione dei contenuti, che richiedono – questo sì – una scelta di campo pro o contro la disuguaglianza e l’ingiustizia. Dovremo mandare questa piattaforma a tutti i parlamentari, chiedendo di affrontarne i temi nella campagna elettorale europea. Quale Europa vogliamo in relazione ai Paesi poveri? Quella della conservazione dei dazi e dei privilegi o un’Europa solidale? Quella che contribuisce ad ammazzare l’Africa o che le offre opportunità?»

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