Da Corriere della Sera del 15/04/2004

I giorni del sangue

di Magdi Allam

La Brigata Verde del Profeta, che ha rivendicato il sequestro dei quattro italiani e l’uccisione di uno di loro, è una delle sigle che aderiscono all’ideologia sunnita wahhabita di Al Qaeda. Significa che, al pari di Osama Bin Laden, non tiene in alcun conto la sacralità della vita, considera legittimo assassinare indiscriminatamente non soltanto i «crociati» cristiani e i «sionisti» ebrei, ma perfino gli sciiti ritenuti degli eretici.

La repentina decisione di giustiziare un ostaggio italiano e la minaccia di fare altrettanto con gli altri tre se l’Italia non si ritirerà dall’Iraq suonano come una diretta reazione all’avvio della mediazione dell’Iran, la patria dello sciismo, dunque un nemico eccellente.

Ufficialmente su richiesta degli Stati Uniti per contribuire a risolvere la scottante vicenda della ribellione del giovane mullah sciita Moqtada Al Sadr. Ufficiosamente anche per dare una mano all’Italia a liberare i nostri connazionali. Con il loro macabro messaggio di morte i terroristi binladiani avrebbero inteso sconfessare il ruolo dell’Iran e alzare la posta.

Che non siano dei dilettanti lo si deduce dalla stesura del loro secondo comunicato sotto forma di «Messaggio della Brigata Verde al popolo italiano». È il popolo italiano l’interlocutore. Gli si chiede di «ribellarsi» contro il proprio governo.

Berlusconi è invece il nemico da sanzionare perché ha affermato che il ritiro dall’Iraq «non è negoziabile». La formula ricorda quella impiegata dalla sedicente Resistenza irachena nel dicembre 2003 quando con un «Messaggio al popolo spagnolo» minacciò di compiere degli attentati in Iraq e nella stessa Spagna se il governo di Madrid non avesse ritirato le proprie forze.

Già nel suo primo comunicato di martedì scorso, la Brigata Verde del Profeta aveva chiarito la sua preminente politicizzazione anteponendo la rivendicazione delle scuse pubbliche di Berlusconi per «gli oltraggi e le offese all’Islam e ai musulmani» alla richiesta del ritiro delle forze italiane dall’Iraq. La formulazione del comunicato su basi politiche e non meramente ideologiche aveva lasciato sperare in una possibile intesa. Al riguardo gli stessi sequestratori avrebbero comunicato al governo italiano la «parte con cui trattare il rilascio degli ostaggi». Ma evidentemente individuando l’Iran si è commesso un errore. Fatale per la sorte di uno dei nostri quattro connazionali.

Sembra inoltre da escludere che i terroristi appartengano alle molteplici bande che si sono scatenate nella caccia agli stranieri per ottenere un riscatto in denaro. È stato il caso di sette missionari sudcoreani, di sette cittadini cinesi, di tre tecnici russi e di cinque ucraini. Significativo al riguardo è che il rilascio degli ostaggi sia avvenuto tramite i buoni uffici del cosiddetto «Ente degli ulema (i dottori della legge, ndr) musulmani».

Una istituzione sunnita ortodossa. Il cui presidente Hares al Hadiri è arrivato a elogiare i sequestratori: «Rimettendo in libertà gli ostaggi», ha detto attorniato dai sette cinesi, «hanno dimostrato di non essere dei terroristi ma dei veri patrioti».

Questo canale potrebbe rivelarsi più promettente rispetto a quello iraniano negli sforzi per ottenere il rilascio dei nostri connazionali.

Un secondo canale potrebbe essere quello della sedicente Resistenza irachena presieduta da Jabbar al Kubaysi, l’uomo forte di Falluja, anch’egli sunnita. Legato ai circuiti antimperialisti occidentali. L’importante è agire in fretta.

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