Da Corriere della Sera del 18/04/2004

«Il deficit è sotto il 3%» Lite sui contratti pubblici

Il Tesoro: nel 2004 il Pil crescerà dell’1,4 per cento Maroni: accordi troppo costosi. Urso: più collegialità

di Mario Sensini

ROMA - Il sottosegretario all’Economia, Gianluigi Magri, assicura che quest’anno il deficit pubblico non oltrepasserà il 3% del Pil. Dal 2,2% previsto inizialmente «salirà al 2,8, mentre la crescita dell’economia sarà rivista dall’1,9 all’1,4%» ha detto Magri, anticipando il quadro della Trimestrale di cassa e della Relazione programmatica, attese a giorni. La situazione dei conti pubblici resta comunque oggettivamente difficile. Il sottosegretario ha smentito le indiscrezioni su una stima della Ragioneria che proietterebbe il deficit 2004 al 3,5% del Pil, non le tensioni che vi sarebbero state nei giorni scorsi tra il Ragioniere generale, Vittorio Grilli, e il ministro Giulio Tremonti, proprio sulla determinazione del disavanzo.


GOVERNO DETERMINATO - Il governo resta in ogni caso determinato, come ribadisce Magri, a fare il possibile perché il deficit non oltrepassi i limiti di Maastricht, prospettiva che la Commissione Ue dà invece per scontata con una stima del 3,2% che accompagna la proposta di early warning sui conti italiani. Una prima, consistente, sforbiciata alla spesa pubblica arriverà con il bilancio di assestamento a giugno. Tremonti ha chiesto a tutti i ministri e alle amministrazioni decentrate il massimo dell’economia sugli stanziamenti previsti e sulle erogazioni di cassa.

Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, sostiene che «l’obiettivo dell’azione corale della maggioranza di governo, da qui a fine anno, deve essere il contenimento della spesa pubblica» a maggior ragione se bisogna ridurre le tasse. E cita il contratto del pubblico impiego siglato nel 2002 con la mediazione di Gianfranco Fini, «eccessivamente oneroso per lo Stato» come «un esempio da evitare». «Mi auguro che la Lega sia coinvolta a livello di governo nella definizione dei nuovi contratti» aggiunge Maroni, secondo il quale sull’altro fronte, finora caldo, della riforma previdenziale «non vi sono più questioni politicamente rilevanti».

Senza raccogliere la provocazione sui contratti, An sposa la richiesta di Maroni di maggiore collegialità nell’economia, mentre sono i sindacati a rispondere per le rime al ministro del Welfare. «Che a nessuno venga in mente di barattare il rinnovo dei contratti pubblici con una promessa di riduzione delle tasse» commenta il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, mentre Savino Pezzotta della Cisl ritiene i contratti «in linea con gli accordi del ’93» e Luigi Angeletti della Uil ricorda che «gli accordi vanno rispettati».

Alleanza Nazionale insiste sulla collegialità. «Maroni evidenzia un problema su cui noi abbiamo da tempo posto l’accento» commenta il vice ministro delle Attività produttive, Adolfo Urso. «C’è la necessità di un coordinamento da parte di Palazzo Chigi, secondo quanto previsto dal documento sulla verifica di governo» ha aggiunto Urso, ricordando il problema delle deleghe di Gianfranco Fini, ormai in sospeso da due mesi.


LE RICETTE DI FINI - In attesa dell’investitura, Fini continua a esporre sulle ricette per uscire dalla stagnazione idee un po’ diverse da quelle di Silvio Berlusconi e di Giulio Tremonti, cui rivolge comunque il plauso per il rigore con cui finora sono state evitate le sanzioni Ue. «Dobbiamo individuare le risorse finanziarie reali e ottimizzarle facendo una scelta. Si possono ridurre le tasse, ma si può anche avviare una politica industriale per ridare competitività al sistema imprenditoriale e al Paese» dice Fini, che sollecita un nuovo incontro con i sindacati per affrontare questo tema. Il suo piano costerebbe «tra 12 e 14 miliardi di euro». Esattamente come la riforma fiscale di Tremonti.

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