Da Corriere della Sera del 18/04/2004

Un errore unilaterale

di Sergio Romano

Se adottiamo per un istante la prospettiva del nuovo governo spagnolo, la decisione di ritirare le truppe senza attendere la scadenza del 30 giugno non è sorprendente. Questo è lo spirito con cui José Luis Rodriguez Zapatero aveva fatto la sua campagna elettorale, questo è l’impegno che aveva sostanzialmente assunto con i suoi elettori. A chi gli rimproverasse una mossa affrettata Zapatero potrebbe rispondere che la situazione irachena, nelle ultime settimane, si è irreparabilmente deteriorata e che la data del 30 giugno ha perduto gran parte del suo significato. Il nuovo premier non crede che gli americani riusciranno in due mesi a riprendere interamente il controllo della situazione e non pensa che il governo del 30 giugno, se mai verrà costituito, sarà credibile. Certo, avrebbe dovuto attendere l’esito del lavoro diplomatico al Palazzo di Vetro per una nuova risoluzione che permetta all’Onu di ritornare in Iraq. Ma le ultime dichiarazioni di Kofi Annan e la sua intervista al Pais dimostrano che il segretario generale resiste come un muro di gomma alle pressioni degli Stati Uniti. Vuole un mandato del Consiglio di Sicurezza e vuole che l’organizzazione, quando tornerà in Iraq, appaia agli iracheni neutrale. E’ un modo garbato per ricordare, a chi sa leggere tra le righe, che oggi, mentre si combatte, il ritorno dell’Onu a Bagdad senza le necessarie garanzie verrebbe interpretato come una scelta dettata dalle esigenze della politica americana. Se attendere l’Onu e il 30 giugno non ha più senso, potrebbe sostenere Zapatero, tanto vale tagliar corto e uscire di scena.

Ma vi sono altre considerazioni di cui il governo spagnolo avrebbe dovuto tener conto. Il nuovo premier dovrebbe ricordare che il suo Paese ha molte e gravi responsabilità. Il fatto che gli elettori abbiano congedato il suo predecessore non lo esime dall’obbligo di ricordare che la decisione di attaccare l’Iraq fu presa alle Azzorre in una riunione tripartita dove Aznar fu il padrone di casa. In quei mesi la Spagna, fra i Paesi favorevoli alla politica americana, scavalcò l’Italia, tenne il passo con la Gran Bretagna e dette un contributo determinante alla divisione dell’Europa. Fu un errore di cui altri governi, per ragioni diverse, condivisero la responsabilità. Ma la Spagna, grazie alla sua posizione in Consiglio di sicurezza e al brusco stile di Aznar, fu in prima fila. Ora Zapatero commette, per motivi opposti, lo stesso errore. Dopo averci indicato la strada della guerra, la Spagna ci suggerisce con un brusco dietrofront la via dell’uscita.

E lo fa in un momento in cui quasi tutti i membri dell’Ue (anche Francia e Germania) sembrano consapevoli della necessità di trovare una soluzione che non precipiti l’Iraq nel caos di una devastante guerra civile. Presa da un uomo di Stato che ancora poche settimane fa diceva di voler modificare la politica del suo predecessore sulla Costituzione dell’Ue, questa decisione è clamorosamente antieuropea. Se avesse utilizzato la vittoria elettorale per minacciare il ritiro e chiedere ai partner una scelta collegiale, Zapatero avrebbe aperto un’utile discussione e dato prova di lungimiranza. Con una mossa affrettata sceglie invece ancora una volta la strada delle decisioni unilaterali, crea grandi difficoltà agli europei della coalizione, nuoce all’immagine dell’Europa nel mondo. Potrei aggiungere che la sua decisione susciterà la collera di Washington. Ma questo mi sembra, confesso, molto meno importante del colpo inferto alla credibilità dell’Unione.

Esiste una via di uscita? Almeno quattro Paesi hanno il diritto-dovere di prendere un’iniziativa: l’Irlanda come presidente di turno dell’Unione, la Gran Bretagna, l’Italia e la Polonia perché sono presenti in Iraq e subiranno i contraccolpi della decisione spagnola. Spetta a loro chiedere un vertice dell’Ue e tentare la strada dell’unità. Abbiamo assistito a molti inutili Consigli europei. Ma questo, quale che ne sia il risultato, è indispensabile.

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