Da Corriere della Sera del 22/04/2004

La Polonia ora vacilla. Bush prepara rinforzi

La Casa Bianca cita l’Italia: coalizione ancora solida Madrid: non ridispiegheremo le truppe in Afghanistan

di Ennio Caretto

WASHINGTON - L'amministrazione Bush è pronta ad aumentare le truppe in Iraq e i finanziamenti della guerra, non fa affidamento sui rinforzi alleati. Lo dichiara al Congresso tra crescenti polemiche il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz mentre la Polonia non esclude, se non il ritiro, una riduzione del suo contingente, e il segretario dell'Onu Kofi Annan si oppone all'invio di caschi blu. «La realtà è che quella in Iraq non è una missione di pace ma di guerra - afferma Wolfowitz -. E finché non diverrà una missione di pace molti Paesi resteranno a guardare». Né Wolfowitz né il ministro della Difesa Rumsfeld scendono nei particolari. Ma il senatore repubblicano Chuk Hegel, un eroe della guerra del Vietnam, parla dell'invio di almeno altri 20 mila uomini a cavallo del 30 giugno, il giorno del passaggio dei poteri agli iracheni, in aggiunta ai 135 mila già dispiegati, e di 50-75 miliardi di dollari di finanziamenti per l'anno venturo. «Il conflitto col terrorismo può durare 25 anni» sostiene Hegel, rinnovando la sua richiesta di servizio militare obbligatorio.

In un discorso a 1.500 dirigenti dei media americani, il presidente Bush non accenna alla escalation militare, ammette solo che «le ultime settimane sono state durissime». Ma conferma implicitamente che essa è inevitabile: «Gli iracheni si chiedono se l'America stia per scappare; rispondo loro che non li abbandonerà, almeno finché io siederò nello Studio Ovale». È un’allusione alla necessità di colmare il vuoto che si creerà in Iraq alla partenza di Spagna, Honduras e Repubblica Dominicana. E un invito alla Polonia a tener duro.

Il caso polacco è esploso all'improvviso. A Varsavia, il premier uscente Leszek Miller ha ammonito che «il ritiro spagnolo non può essere ignorato» e che Marek Belba, il suo successore, dovrà prenderlo in considerazione «senza arrivare a decisioni avventate».

Subito dopo, il portavoce Marcin Kaszuba ha smentito che Varsavia voglia lasciare l'Iraq. Ma il ministro della Difesa Jerry Szmajdzinski ha sottolineato che «sarà opportuna una riorganizzazione delle truppe». La Polonia non intende staccarsi dagli Usa, ma ha grosse difficoltà operative, e non ha ricevuto l'aiuto chiesto alla Nato.

La Casa Bianca fa del proprio meglio per dissipare la sensazione che la coalizione si sfaldi. Il portavoce Scott McClellan insiste che «è forte», cita l'Italia e Tony Blair, rileva che il Pakistan, che a maggio avrà la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza allo Onu, è disposto a partecipare a una forza multinazionale. Il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, in visita al segretario di Stato Colin Powell, lo appoggia: «Guardiamo al futuro non al passato, continuiamo a lavorare insieme sotto l'egida dell'Onu dall'Afghanistan ai Balcani». Ma Moratinos precisa di non avere discusso con Powell uno spostamento del contingente spagnolo in Iraq a Kabul. Per l'amministrazione Bush è l’ora di un cruciale riesame della crisi. Il generale John Batiste e il consigliere del Pentagono Perle suggeriscono che vengano recuperati alcuni generali, colonnelli, soldati di Saddam Hussein. «Una parte di loro - dice Batiste al New York Times - non è più sospetta, può collaborare con noi». «Mandare più militari americani - ammonisce Perle - significherebbe scoraggiare gli iracheni durante la transizione».

La carta decisiva potrebbe essere quella della nuova risoluzione dell'Onu. Ma il sottosegretario di Stato Mark Grossman riferisce che non è ancora stata messa a punto. Kofi Annan la sollecita: «L'Onu potrà tornare in Iraq solo se sarà garantita la sicurezza. Ed essa può venire solo da una forza multinazionale».

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