Da Corriere della Sera del 25/04/2004

Sciopero dei medici, 30 mila in piazza

Ospedali e ambulatori chiusi, i camici bianchi hanno sfilato a Roma. Il vicepremier Fini: protesta giusta

di Margherita De Bac

ROMA - Lei lavora nel laboratorio dell’ospedale di San Giovanni Persiceto, provincia di Bologna. Lui è radiologo al Sant’Orsola, sempre a Bologna. E per ambedue è la stessa musica. Per risparmiare sui turni di notte viene applicato il sistema della reperibilità. Lo specialista non è in corsia, ma a casa, telefonino acceso, ad aspettare eventuali chiamate. Così, quando arrivano i casi urgenti, il paziente rischia di aspettare un bel po’ prima che analisi e lastre siano pronti. Il servizio è irto di difficoltà, raccontano, gli apparecchi desueti, il personale ridotto all’osso. E i malati si lamentano. Ecco perché i due coniugi, che pure provengono dall’Emilia Romagna, dove la sanità è dorata rispetto ad altre realtà, ieri erano a Roma ad ingrossare con migliaia di colleghi il corteo dei camici bianchi. Mentre negli ospedali del Paese è andato in scena lo sciopero, che non ha causato disagi grazie all’impegno di garantire le emergenze, per strada sono scesi «in 30 mila», secondo i sindacati, tutte le cinquanta sigle della sanità pubblica. Quindicimila, riduce la Questura. Il colpo d’occhio, alla partenza da piazza della Repubblica, non dava il senso di una massa tanto poderosa. Ma l’insoddisfazione, l’atteggiamento disamorato erano facilmente percebili. Rinnovo del contratto, paura che la devolution mandi in frantumi il servizio, sottofinanziamenti: questi i motivi della protesta. Ad aver urtato la categoria, il silenzio del governo che negli ultimi mesi non ha inviato segnali, neppure ufficiosi. Tranne il vicepremier Gianfranco Fini, che ieri è sceso idealmente al loro fianco: «La loro protesta è giusta, mentre è sbagliato aver trascurato le rivendicazioni perché hanno perfettamente ragione quando dicono che bisogna rinnovare il contratto di lavoro. Credo che Tremonti debba essere aiutato a trovare risorse necessarie per garantire i loro diritti».

Finora, dal Tesoro, non è uscita neppure la promessa di uno spicciolo. Alla Salute, Girolamo Sirchia da questo punto di vista ha le mani legate e non può dare altro che solidarietà: «Giustamente pretendono un contratto scaduto da tre anni. Meno credibile la temuta scomparsa del servizio sanitario. Io mi sono attivato, mi auguro che in tempi brevi il problema possa essere risolto». Al corteo si sono unite Livia Turco, dei Ds, e Rosy Bindi, della Margherita: «Tra Paese e governo la spaccatura è profonda». Parole di comprensione da Piero Fassino, segretario della Quercia: «Il nostro servizio sanitario nazionale, frutto della battaglia di milioni di lavoratori, è in grave crisi per continui tagli alle risorse. Molti cittadini sono costretti a pagare di tasca propria le cure».

I medici si riuniscono al centro di Roma attorno alle 10. In prima fila, al completo, i leader dei sindacati, destra e sinistra, federali e autonomi, ospedalieri, convenzionati (medici di famiglia e pediatri), veterinari, specializzandi e dirigenti non medici (come gli psicologi). Indossano il camice, molti la mascherina e il copricapo da sala operatoria, alcuni lo stetoscopio. Miriadi di cartelli: «Razionalizzare sì, razionare no», «Fumo, pitbull e porzioni, ma contratto e riforma?», «Produciamo salute, non bulloni». Uno psicologo si è scritto sulla divisa «Berlusconi, siamo noi che non rinnoviamo il contratto a te». Raccontano le difficoltà di militare in corsia e in ambulatorio. Molti ripetono il contenuto dei volantini, senza troppa passione. Verso mezzogiorno si parte, il corteo si ingrossa con l’arrivo dei pullman rimasti bloccati in autostrada. Dopo una marcia lungo le vie di Roma, capolinea a piazza Venezia dove i leader sindacali gridano i perché. Poi, in una città scaldata dal sole, la massa bianca si dissolve. Pensando di aver giocato l’ultima carta, per costringere il governo a smuoversi. Dopo tre scioperi in tre mesi c’è poco altro da fare.

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