Da Corriere della Sera del 28/04/2004
La scelta spagnola
L’annuncio di Zapatero: via le truppe il 27 maggio
L’ex premier Aznar: ora siamo più deboli e i terroristi più forti
di Mino Vignolo
MADRID - José Luis Zapatero non sembra corroso dai dubbi e nemmeno colpito dalle molte critiche che, soprattutto dagli Stati Uniti, gli sono piovute addosso dopo il repentino annuncio che avrebbe ritirato immediatamente i soldati spagnoli dall'Iraq, un annuncio fatto senza aspettare la data promessa del 30 giugno. «Non avremmo dovuto andare in Iraq e per questa ragione dobbiamo ritornare a casa quanto prima». Un lungo applauso accoglie le parole che aprono il suo discorso durante il plenum del Congresso dei deputati dedicato all'Iraq. Applausi scoscianti quando annuncia che il 27 maggio «non vi sarà nessun militare spagnolo sul territorio iracheno» e che da ieri nessun soldato della Brigata Plus Ultra 2 si trova in Iraq. I militari che vi rimangono sono concentrati nella base di Diwaniyah e sono adibiti soprattutto alla logistica e alla sicurezza.
L'unico settore del Parlamento in gelido silenzio era quello occupato dal Partito popolare, il partito di José Maria Aznar e di Mariano Rajoy, che vede smontare pezzo a pezzo la sua politica estera. Ieri Rajoy ha criticato la decisione «presa con precipitazione, che deteriora l'immagine della Spagna». Si è opposto al mettere ai voti il ritiro perché il governo con un voto avrebbe cercato di salvare la faccia dopo avere preso una decisione senza consultare i Popolari. Le parole di Rajoy sono dure, però meno di quelle di Aznar che in un articolo sul Wall Street Journal e su ABC fustiga il suo successore. «Il ritiro delle nostre truppe è ciò che desideravano i terroristi - scrive l'ex primo ministro -. Se la Spagna è più debole i terroristi, al contrario, sono più forti. Il governo ha intrapreso il cammino dell’ appeasement , un cammino che la storia ha rivelato come il peggiore di fronte alle minacce, perché non allontana il pericolo, ma lo rafforza».
Zapatero ricorda che il suo partito si era sempre opposto all'invio di truppe e che si era impegnato a ritirarle se entro il 30 giugno l'Onu non avesse assunto un ruolo chiave. Non si è atteso quella data, dice, perché i colloqui avuti a partire dal giorno successivo alla vittoria elettorale avevano dimostrato l'impossibilità che l'Onu potesse adempiere alle condizioni poste dal Partito socialista.
L'unico settore del Parlamento in gelido silenzio era quello occupato dal Partito popolare, il partito di José Maria Aznar e di Mariano Rajoy, che vede smontare pezzo a pezzo la sua politica estera. Ieri Rajoy ha criticato la decisione «presa con precipitazione, che deteriora l'immagine della Spagna». Si è opposto al mettere ai voti il ritiro perché il governo con un voto avrebbe cercato di salvare la faccia dopo avere preso una decisione senza consultare i Popolari. Le parole di Rajoy sono dure, però meno di quelle di Aznar che in un articolo sul Wall Street Journal e su ABC fustiga il suo successore. «Il ritiro delle nostre truppe è ciò che desideravano i terroristi - scrive l'ex primo ministro -. Se la Spagna è più debole i terroristi, al contrario, sono più forti. Il governo ha intrapreso il cammino dell’ appeasement , un cammino che la storia ha rivelato come il peggiore di fronte alle minacce, perché non allontana il pericolo, ma lo rafforza».
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