Da La Repubblica del 28/04/2004

Se la Libia della Guida unica va a lezione di normalità

di Tahar Ben Jelloun

Ho esitato molto prima di accettare l´invito dell´istituto culturale francese di Tripoli. Non conoscevo la Libia e le tribolazioni politiche di Gheddafi non m´invogliavano affatto a intraprendere il viaggio. Ma uno scrittore deve essere curioso e andare sul posto. Dopo un soggiorno di cinque giorni, penso di avere meno pregiudizi più informazioni.

Appena arrivato ho osservato la straordinaria negligenza della polizia di frontiera. Gli agenti sono numerosi ma c´è un solo sportello aperto. I controlli sono lunghi. Dall´aeroporto al centro città, la prima cosa che mi ha colpito è stata l´assenza di pannelli pubblicitari. O, meglio, ce ne sono, ma solo cartelloni che vantano la filosofia, l´attività e il culto della Guida, l´unico e solo uomo che sa dov´è il bene e dove il male: Muammar Gheddafi.

All´albergo mi ritirano il passaporto, che mi restituiranno il giorno della partenza. La città, tracciata da urbanisti italiani, è estesa. La città vecchia, sporca, volge le spalle al mare. La raccolta dei rifiuti non è gestita in modo efficace. Per una città sul Mediterraneo, noto che ci sono pochi caffè. I rari posti dove ci si può fermare a bere un tè o una gazzosa sono poco accoglienti. L´alcol è rigorosamente vietato. Niente donne nei bar. Portano tutte un fazzoletto in testa, ma non per questo sono "suore musulmane". Qui la Guida ha risolto il problema dell´islamismo molto in fretta, alla sua maniera. Non c´è un solo integralista che osi alzare la testa. Non c´è opposizione. Qualche oppositore deve pur esserci, ma non si esprime.

I libici sono musulmani osservanti ma non fanatici. Un esempio: ero in un negozio che vende vestiti importati dall´Italia e da un registratore usciva la musica di Ben Harper. Tutt´a un tratto, il giovane commesso ha spento il registratore e, al posto della musica, si è sentito il richiamo alla preghiera. Alla fine del richiamo, il commesso ha fatto ripartire la cassetta del cantante americano.

Qui le donne si velano per tradizione, per abitudine. Nessuno le obbliga a vestirsi così. Quel che è certo è che la Libia non intende seguire l´esempio della liberazione della donna che è in corso in Europa.

I libici sono convinti di avere il miglior sistema politico e sociale del mondo, e perfino di aver inventato "la vera democrazia". Son 34 anni che si sentono dire che la democrazia all´occidentale è un imbroglio e che non può essere applicata a un popolo arabo e musulmano. Sono convinti che la democrazia dei congressi nazionali, o dei quartieri, è la vera via attraverso la quale si esprime la volontà popolare. Hanno demonizzato l´Occidente. Ed ecco che ora improvvisamente Gheddafi cade tra le braccia degli americani, si dichiara definitivamente deluso dagli arabi, si appresta ad aprire il paese al liberalismo e a quell´Occidente che finora ha incessantemente criticato e respinto. Recentemente ha ricevuto Tony Blair, mentre il caso della signora Fletcher, la donna poliziotto uccisa nel 1984 davanti all´ambasciata libica di Londra, non è ancora stato risolto. Gli americani cercano un grande terreno per costruirci la prossima ambasciata. Nel marzo scorso, Jacques Chirac ha ricevuto Seif Al Islam, uno dei figli di Gheddafi. Il premier libico ha compiuto una decina di giorni fa una visita ufficiale in Francia. Quanto all´Italia, è un vecchio partner con cui la Libia intrattiene relazioni ambivalenti. Il fatto che sulle banconote da 10 dinari figuri il ritratto di Umar Al Mukhtar, un resistente impiccato nel 1931 da Graziani, il vicegovernatore di Bengasi, non è senza importanza.

Tutto il lavoro di Gheddafi è consistito nel provvedere il suo paese di istituzioni originali che voltano le spalle a quelle dell´Occidente. All´improvviso il paese si è impantanato in un isolamento che gli è stato molto nocivo, e questo ben prima dell´embargo. Ancora oggi è impossibile trovare giornali stranieri.

Certo, tutti i prodotti di prima necessità sono sovvenzionati dallo Stato: un sacco da 5 kg di zucchero vale 6 dinari (un euro corrisponde a 1,7 dinari) e analogamente per farina, latte, olio, perfino per la benzina (l´acqua costa più della benzina). Le case appartengono a chi le abita. Gheddafi ha risolto il problema dell´acqua con lavori immensi su una falda sotterranea nel sud del paese, che copre le necessità di acqua potabile di tutta la popolazione.

Con queste sovvenzioni, lo stipendio medio dei libici non è molto elevato (circa 250 dinari) e perciò quasi tutti hanno due mestieri. Oltre al loro lavoro di funzionari, alcuni si dedicano al commercio. Colonnello al mattino, ristoratore la sera. Professore universitario al mattino, gioielliere la sera. Eccetera.

Perché questo bisogno di soldi? Tutti rispondono: «Per potersi sposare!», perché bisogna portare alla sposa una dote di almeno un chilo e mezzo d´oro; la regola sarebbe 2 chili. È una tradizione molto radicata nella mentalità della gente. Una questione d´onore.

Ma questo paese ricco (il reddito proveniente dal petrolio è di circa 25 miliardi di dollari all´anno) dà l´impressione d´un paese molto modesto, se non proprio povero. In ogni caso, nessuna ricchezza ostentata. Le strade sono a posto, ma case e edifici sono in cattivo stato. Si notano molte costruzioni incompiute e abbandonate. Non ci sono ferrovie. Il parco automobili è scadente. La gente è servizievole, ospitale, tranquilla. Niente rabbia, niente violenza. Sono rassegnati oppure soddisfatti di quella vita appiattita, livellata. Regna una sicurezza che l´Occidente non si sogna nemmeno. Va detto che il paese è molto controllato. Si è sempre sorvegliati, tenuti sott´occhio. È uno Stato poliziotto formato sul modello dei vecchi paesi dell´Est, con diversi servizi d´informazione.

Mi sono capitati due incidenti, durante il mio soggiorno: il primo riguarda una conferenza che ho tenuto al Centro del Libro Verde, alto luogo del culto gheddafiano. Lì ho parlato per un´ora della modernità nel mondo arabo. Ho tessuto gli elogi del riconoscimento dell´individuo, della padronanza del tempo, del rispetto del pluralismo, dei diritti dell´uomo e in particolare di quelli della donna. Il dibattito seguito alla conferenza è stato una sfilza d´interventi impetuosi di personaggi pubblici che mi accusavano d´esser un agente dell´Occidente, della cultura permissiva di una società (cito a memoria) «che autorizza il matrimonio degli omosessuali, coltiva la pornografia e spoglia le donne votando perfino una legge contro le ragazze musulmane che si coprono i capelli!».

Raramente ho sentito deformare altrettanto il mio pensiero, ma si davano il cambio per denunciare il mio discorso e soprattutto per non apparire come "traditori" della loro ideologia. Si sorvegliano tra loro. Soprattutto niente iniziative, nessuna contestazione.

Per il giorno seguente ero stato invitato in un programma televisivo trasmesso in diretta. Al mattino un responsabile francese dell´istituto ha richiesto il mio passaporto e quello di mia moglie perché potessimo essere registrati e passare i controlli all´entrata della stazione televisiva. La sera, dopo diversi accertamenti, un agente ci comunica che mia moglie non potrà accompagnarmi, attribuendone la ragione al fatto che non è stata registrata. Mi rifiuto di partecipare alla trasmissione, protesto e chiedo alla vettura ufficiale di riportarci in albergo. Durante il ritorno, l´autista, munito d´un telefono cellulare (cosa piuttosto rara in Libia), è stato assalito dai dirigenti della rete televisiva che cercavano di farmi cambiare idea. Ho mantenuto il rifiuto, ma negli ambienti politici l´incidente è stato largamente commentato.

Questo per dire che quel paese vive in un altro mondo, in una bolla dove tutto ciò che proviene dall´estero è sospetto. La gente non ha gli stessi punti di riscontro e di riferimento. Sono bravi e gentili, ma sfasati. È un paese rimasto troppo a lungo chiuso su se stesso. Tuttavia, i libici hanno sempre più bisogno di manodopera immigrata. Gli africani e gli arabi - considerati dalla Guida come fratelli - non hanno bisogno di visti per entrare in Libia, né di un permesso di soggiorno o di lavoro. Si sa che sono numerosi e alcuni libici stabiliscono una scala di gradimento: la palma del rifiuto spetta agli africani, e in particolare ai nigeriani. Nel 1999 nei quartieri dove vivono gli immigrati c´è stata una battuta di caccia conclusasi con diversi morti. Un´espressione del razzismo libico è l´uso del termine abid (schiavi) per indicare gli africani. Poi sono malvisti anche gli egiziani. Una vecchia storia di vicinato e di un´unione mancata.

Dopo l´entrata degli americani in Iraq, Gheddafi ha capito che occorreva "riscattare" il posto della Libia nel mondo. Non voleva subire la sorte riservata agli «Stati teppisti». Di qui i negoziati per indennizzare le famiglie delle vittime dell´attentato di Lockerbie. Nella tradizione libica c´è un uso particolare per lavare l´onore: è quello che chiamano "il prezzo del sangue". Quando una persona viene uccisa, prima che la giustizia s´immischi nella faccenda, le famiglie della vittima e dell´uccisore si riuniscono e discutono il "prezzo del sangue". Nel frattempo l´assassino sta in prigione dove è protetto dalla vendetta. Generalmente, i vecchi riescono a trovare un accordo. A partire da quel momento, la parola è data e non ci sarà più nessuna vendetta. È quello che i libici hanno cercato di fare con americani e francesi. Per gli americani si tratta di indennità punitive: i libici non hanno mai riconosciuto ufficialmente la loro responsabilità in quegli attentati. È l´istituto di carità "Adaoua Islamya", diretto da un figlio di Gheddafi, a pagare i 2,7 miliardi di dollari agli americani e i 170 milioni di dollari ai francesi. Dopodiché Gheddafi spera che gli americani depennino la Libia dalla lista nera dei paesi che sostengono il terrorismo. Per il momento, il paese si cimenta con l´apertura. Finita l´epoca in cui la Guida proibiva l´insegnamento delle lingue straniere, in cui i passaporti degli stranieri dovevano essere scritti in arabo, in cui qualunque movimento di liberazione trovava accoglienza, sostegno e finanziamenti. La Libia sta imparando la normalità. È un esercizio difficile.
Annotazioni − Traduzione di Elda Volterrani.

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