Da Il Manifesto del 04/05/2004

Viaggio nel nuovo sud Usa/sesta puntata. La Tennessee Valley Authority

La nostra diga non è più la modernità

Il declino e la perdita d'identità della più grande entità produttiva pubblica americana: da salvatrice a moloch dell'inquinamento, anche nucleare. Ma ancora resiste alle privatizzazioni, nonostante Bush: fino a quando?

di Marco D'Eramo

KNOXVILLE (Tennessee) - A giugno se ne va: ha scelto la pensione anticipata Edwin J. Best Jr., che dirige la biblioteca della Tennessee Valley Authority (Tva, vedi la puntata precedente di quest'inchiesta, pubblicata il 28 aprile). 57 anni, capelli bianchi e sorriso gentile, me lo dice con malinconia, dopo avermi aiutato a trovare materiale sulla privatizzazione dell'energia elettrica negli Stati uniti. Sarà la prima volta dal 1936 che non ci sarà un Edwin Best alla Tva: suo padre ne era stato il portavoce. Quando lui ha cominciato a lavorare qui a Knoxville nel 1982, i bibliotecari erano 20. Adesso sono due e a giugno ne rimarrà una sola, a mezzo tempo. E la biblioteca sarà aperta al pubblico due e non più cinque giorni la settimana. Il drastico ridimensionamento della biblioteca riflette quello più generale della Tva, che nei suoi 71 anni di storia è giunta ad avere 54.000 dipendenti (1980) e ora invece impiega solo 13.000 persone. «La sua missione si è ridotta», mi dice Jack Neely, giornalista e storico: «Come era stata pensata nel 1933 da Franklin D. Roosevelt, la Tva affrontava a tutto tondo i problemi sociali ed economici della valle. Non solo produceva energia elettrica, ma doveva frenare e invertire la desertificazione della valle e perciò praticare un energico rimboschimento; doveva contenere le disastrose piene del fiume, eliminare la malaria, attirare nuove industrie e creare nuovi posti di lavoro, modernizzare l'agricoltura con ricerca e produzione di pesticidi e fertilizzanti, e aggiornare i contadini sui nuovi metodi di coltura».


BIBLIOTECHE CIRCOLANTI

«Negli anni `30 e `40 la Tva ha creato anche un circuito di biblioteche circolanti nella campagna profonda. Nella sua impostazione rientrava una componente utopica. Per gli operai che eressero la sua prima diga, la Norris, costruì un paese modello, chiamando i migliori architetti: Norris Town. Costituiva parchi naturali, campeggi; e li donava allo stato. Brevettava fertilizzanti e li cedeva alle industrie private. Il suo presidente Arthur Morgan vedeva la Tva quasi come uno strumento per reinventare la civiltà (un più controverso aspetto del suo idealismo era la sua adesione all'eugenetica). Adesso invece la Tva si limita a essere una compagnia elettrica qualunque che fa anche un po' di turismo nei parchi naturali attornianti i laghi creati dalle sue dighe».

Il rattrappirsi di questo monumento del New Deal rooseveltiano salta agli occhi nei due grandi palazzoni che torreggiano su Market square e in cui ha sede il quartier generale della Tva: i loro corridoi sono quasi deserti. Prima ci lavoravano 3.000 persone, ora sono 1.100. «Perché non c'è più tutto il settore chimico, visto che non operiamo più l'impianto di Muscle Shoals e non produciamo più pesticidi e fertilizzanti», mi dice Gil Francis, un po' oltre la trentina, delle Media relations della Tva: «Non ci sono più molti consulenti di sociologia o biologia. Tutta una serie di specializzazioni è scomparsa. E infatti pensiamo di vendere o affittare la Torre Est, la più piccola. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo ridimensionato la biblioteca: per poterla trasferire e alloggiare nella Torre Ovest».

Eppure, all'inizio di una lunga mattinata passata insieme, Gil Francis diverge dall'opinione di Jack Neely: «La nostra missione è sempre la stessa: il benessere degli abitanti della valle, l'elettricità, il governo del fiume». Ma poi, poco a poco, questo serio occhialuto esponente, in camicia bianca, della «nuova» middle class nera si lascia un po' più andare durante la mattinata: mi racconta di sua moglie insegnante, dei problemi che lei incontra ad applicare il demagogico programma scolastico No Child Left Behind («Nessun bambino abbandonato») dell'amministrazione Bush; maledice Al Gore per aver perso le elezioni del 2000 - e alla sconfitta ha contribuito in modo determinante il non essere riuscito a conquistare nemmeno il proprio stato di origine, cioè il Tennessee di cui era stato senatore e in cui ci troviamo - ma ne attribuisce la responsabilità all'essersi alienato la potente lobby delle armi. E poi Gil la pensa diversamente da tutti i bianchi con cui parlo a Knoxville: loro si macerano nel dubbio se appartenere o meno al Sud, alcuni pensano addirittura che no, Knoxville non fa parte del Sud; lui invece non ha dubbi alcuno: qui è pieno meridione.

«È una questione di filosofia», alla fine ammette Gil, mentre Michael Dobrogosz lo guarda dubbioso. Michael è il curatore del museo della Tva in cui si accumulano arcaici elettrodomestici, macchinari, campioni di minerali. Lui è in parte di origine italiana, tiene a dirmi, e anche sua moglie lo è, così anche i suoi bambini lo saranno. Anche il museo è stato ridimensionato. Tra quel che leggo e quel che mi dicono Neely e Francis, si deduce che il rattrappimento della Tva e della sua missione è dovuto al combinato composto del suo incredibile successo e dell'altrettanto incredibile opposizione che, fin dall'inizio, ha incontrato nel mondo politico e nel padronato americano. La chiave di volta del suo successo era la produzione e distribuzione di elettricità a buon mercato: questo attirava le imprese a forte consumo energetico e diffondeva tra gli 8 milioni di abitanti della valle il modello di vita basato sugli elettrodomestici e sull'elettrificazione. Tutti questi obiettivi furono più che raggiunti, tanto che già nella seconda guerra mondiale, nonostante operasse una nuova imponente diga, la Douglas, e altre nove centrali idroelettriche fossero in costruzione, la Tva non riusciva più a soddisfare la domanda di energia e dovette costruire la sua prima centrale a carbone.


A TUTTO CARBONE

Il problema si aggravò negli anni `50 quando costruì altri 7 centrali a carbone: nel 1955, per la prima volta in 22 anni, l'energia termoelettrica della Tva superò quella idroelettrica. Oggi la Tva dispone di 11 centrali (59 unità) a carbone che producono il quintuplo dell'elettricità prodotta dalle dighe. La potenza totale erogata dalla Tva è di 31.658 megawatt (e l'energia prodotta è di 167 miliardi di kilowattora). Su questo totale, il 54% viene da centrali a carbone, mentre solo un 10% scarso viene dalle centrali idroelettriche.

La Tva si sostituì così alle ferrovie come principale cliente delle miniere di carbone della valle del Tennessee e degli Appalachi. Ma le sue centrali ebbero un terribile impatto ambientale e la «benefica» Tva divenne un tremendo inquinatore. E negli anni `60 neanche le centrali a carbone bastarono più e la Tva si lanciò in faraonico programma di costruzione di sette centrali nucleari per complessivi 19 reattori. Ma poi arrivò il disastro di Three Mile Island (1979) e furono cancellate tre centrali (una in Mississippi e due in Tennesse) con i loro 8 reattori. Delle altre quattro centrali, quella di Bellefonte in Alabama è stata rinviata sine die; in Tennessee, in quella di Sequoia sono in funzione i due reattori mentre a Watts Bar ne gira solo uno e l'altro è rimandato; in Alabama, a Browns Ferry lavorano due reattori mentre il terzo riaprirà nel 2007. Oggi il nucleare rappresenta il 26% dell'energia prodotta dalla Tva.

Grande inquinatrice a carbone, propugnatrice indefessa del nucleare, nel corso dei decenni la Tva si è così trasformata, agli occhi dei suoi utenti, in un vero e proprio Leviatano ambientale, suscitando un'opposizione sempre più agguerrita da parte dei movimenti verdi, un'opposizione che dall'inquinamento del carbone e dai pericoli del nucleare si è estesa a quel che fino ad allora era stato il totem e il tabù della Tva: il sistema delle dighe. Per la prima volta, nel 1979, la Tva fu costretta a fare marcia indietro e a rinunciare alla costruzione della diga di Tellico, nel Tennessee orientale. Era un avversario del tutto diverso da quelli cui la Tva era da sempre abituata, i capitalisti e i conservatori a cui la Tva resistette sì, ma subendoli. Fin dall'inizio ai liberisti quest'Authority era apparsa un mostro: troppo potente, diversificata, multifunzionale. Le prime a combatterla (oltre ad alcuni contadini espropriati) furono le compagnie elettriche private che vendevano il kilowatt molto più caro e che non volevano fare gli allacciamenti nelle aree rurali isolate: intentarono cause, fecero ricorsi presso la Corte suprema; ma durante il New Deal, fino alla presidenza Truman, furono sempre respinte.

Però il clima cambiò nel 1952, con l'elezione alla presidenza del generale repubblicano Dwight Eisenhower. Addirittura, nel 1955, a presiedere la commissione sulle risorse idriche fu chiamato l'ex presidente Herbert Hoover che con il suo liberismo esacerbato aveva trasformato il crollo in Borsa di martedì 29 ottobre 1929 nella più grave depressione economica del XX secolo. La commissione non riuscì nel suo intento, che era quello di smantellare la Tva, ma - di compromesso in compromesso - l'Authority uscì trasformata dagli anni `50. In primo luogo le fu vietato di vendere e distribuire energia al di fuori della sua area storica, di fare cioè concorrenza ai privati in altre regioni degli Usa. Inoltre Eisenhower rese impossibile alla Tva il ricorso al finanziamento pubblico e la forzò all'autofinanziamento.

Oggi può sembrare quasi logico, ma allora era una svolta radicale: senza i finanziamenti del Congresso, nessuna diga della Valle sarebbe mai stata costruita. Così lo stato costrinse la Tva a emettere obbligazioni per costruire i nuovi impianti. L'obbligo si rivelò costosissimo quando gli immani investimenti richiesti dal programma nucleare non vennero remunerati, per i rinvii e le cancellazioni. Il fardello del debito si fece insostenibile: da qui la necessità di tagliare i costi e di concentrarsi sull'energia dismettendo anche il settore chimico e dei fertilizzanti. Siccome la crisi del nucleare fu contemporanea all'ascesa alla presidenza di Ronald Reagan, si capisce perché gli anni `80 videro una ripresa dell'offensiva privatistica contro la Tva.


CRISI D'IDENTITÀ

A quell'epoca la Tva era in piena crisi d'identità: non più creatrice di posti di lavoro ma licenziatrice, non più benvoluta per il benessere che portava ma osteggiata per il suo inquinamento, non più impresa mista a finalità sociali ma ditta capitalistica. La storia della Tva descrive in modo paradigmatico come si è evoluto il rapporto capitalismo/stato nazione nel corso del XX secolo e dà una descrizione esemplare dell'utopia e realtà del Moderno. È perciò un miracolo se, dopo tre anni di presidenza Bush Jr., la Tva è ancora nelle mani pubbliche. Deve la sua salvezza alla bancarotta Enron e al disastro che è stata la deregulation dell'energia in California, dove le ditte mediatrici (Enron in testa) organizzavano una penuria artificiale di energia per poter alzare i prezzi. Di fronte a tali nefandezze si è per il momento attenuata l'offensiva di privatizzazioni di un servizio pubblico come quello dell'elettricità. Ma non c'è dubbio che riprenderà. È invece dubbio che la Tva riuscirà ancora a resistere a lungo. Nel frattempo, deve ridurre i costi all'osso e licenziare il più possibile: con negli occhi il sorriso triste del bibliotecario Edwin J. Best jr.

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