Da Corriere della Sera del 06/05/2004

La Casa Bianca e le foto choc

E l’America soffre: così muoiono i nostri valori

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Il Washington Times , un quotidiano molto vicino al Pentagono e alla Cia, ha pubblicato una vignetta devastante. Mostra Zio Sam nudo nella prigione di Abu Ghraib con due soldati americani alle spalle: «Pensi che lo abbiamo umiliato e degradato a sufficienza?» chiede uno all'altro. È la conferma dell’amarezza e della vergogna della maggioranza dell'America per le torture, in qualche caso mortali, dei prigionieri in Afghanistan e in Iraq. E spiega come il presidente Bush abbia avvertito la necessità di rassicurare la pubblica opinione Usa e di salvare il rapporto con il mondo dell'Islam. In due interviste alle tv Al Arabiya e Al Hurra (quella americana a Bagdad), Bush si è impegnato a fare giustizia garantendo che le sevizie non si ripeteranno più. Di fronte allo scandalo più grave dal massacro del villaggio di My Lai in Vietnam trent'anni fa, ha ribadito che l'America è e sarà portatrice di libertà e di democrazia.

L'intervento personale del presidente è il primo passo su una strada lunga e difficile, quella del recupero della immagine della Superpotenza e del dialogo con i Paesi arabi. Come ha scritto al Washington Post Joe Gerth, un lettore di Hillsboro in Virginia, l'America rischia di perdere non soltanto la pace in Iraq ma anche la guerra al terrorismo, facendone crescere le fila, «perché appariamo i nuovi gestori delle stanze delle torture di Saddam Hussein».

Come ha rilevato il senatore repubblicano John McCain, un eroe del conflitto vietnamita, «non dobbiamo generare odio verso i nostri soldati che in stragrande maggioranza rispettano i diritti umani». E come ha ammonito Samuel Huntington, il teorico dello «scontro di civiltà» tra il cristianesimo e l'islamismo, «se vogliamo propagarli, è essenziale che non abdichiamo ai nostri valori».

Ma affinché la strada della cooperazione tra i due mondi venga percorsa fino in fondo, occorre che l'America si chieda come si siano verificate le atrocità. Osserva Anne Applebaum, la storica del Gulag sovietico: «Non c'è cultura incapace di trattare il nemico come una specie subumana: questi soldati sono americani, allevati e armati da noi». E accusa l'amministrazione: «In guerra, sono più frequenti gli stupri, le uccisioni, le torture. È il motivo per cui esistono convenzioni come quella di Ginevra. Ma ne abbiamo rifiutato l'applicazione ai detenuti di Guantanamo e agli altri terroristi». Aggiunge David Schaeffer, ambasciatore dei diritti umani del presidente Clinton: «Abbiamo anche disconosciuto il Tribunale internazionale dell'Aja». E' la stessa analisi di Peter Kirstein della Xavier university: «Si è creato un clima in cui certi membri dell'intelligence, delle forze armate e dei contractors privati si sentono al di sopra della legge».

Sinora, il Pentagono e la Cia hanno ostacolato anziché facilitare un ripensamento del conflitto. Hanno nascosto lo scandalo al Congresso cercando d'insabbiarlo: «Le prime denunce delle torture - ha protestato il Washington Post - risalgono al dicembre del 2002 e sono rimaste tutte senza seguito». Hanno preso lievi misure ad personam invece di stroncare quello che il quotidiano chiama «un sistema di abusi». Non hanno capito, come obbietta la lettrice Mary Bell di Montclair nel New Jersey al New York Times , che «non vogliamo che nessuno sia seviziato a nostro nome né per la nostra sicurezza». Numerosi parlamentari e media reclamano la testa dei generali e del ministro della Difesa Donald Rumsfeld. «Il prossimo passo - ha affermato il Washington Post - deve essere un'inchiesta del Congresso e la punizione dei colpevoli».

L'America e la coalizione, dichiara l'ex ministro della Difesa ed ex direttore della Cia James Schlesinger, sono ancora in tempo a stabilizzare l'Iraq, a ricostruirlo, e a sconfiggere il terrorismo. Ma per farlo devono vincere la guerra della pubblica opinione mondiale e delle immagini. Non possono permettere che le foto simbolo del conflitto iracheno diventino non quelle dell'abbattimento della statua di Saddam Hussein un anno fa, ma quelle dei soldati americani che ridono torturando i detenuti. A questo fine, più che mai, aggiunge il generale a riposo Wesley Clark, l'ex comandante in capo delle forze della Nato, c'è bisogno della legittimazione dell'Onu e della partecipazione degli alleati, se possibile anche arabi, al passaggio dei poteri a Bagdad, e alle libere elezioni dell'Iraq. Al di là della chiusura di uno dei capitoli più neri della storia militare americana, resta il problema del ritorno dell'America ai Patti e alle istituzioni internazionali.

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