Da La Repubblica del 08/05/2004

Euro-rifiuti, il grande business dei clan

E l´Ue chiede all´Italia: pene più drastiche contro i trafficanti

Tra le emergenze all´indomani dell´allargamento, l´impennata del giro d´affari collegato alla devastazione dell´ambiente
Con il governo Berlusconi la breve stagione del rigore si è interrotta
E il condono edilizio ha contribuito a dare una spinta ai facili guadagni
Milioni di tonnellate di veleni senza controlli finiscono nelle discariche delle cosche
Un salto di qualità anche nel saccheggio del patrimonio archeologico e artistico

di Antonio Cianciullo

ROMA - Nel 2003, in controtendenza rispetto a un´economia stagnante, il giro d´affari dei 169 clan specializzati nel massacro dell´ambiente è cresciuto del 14,2 per cento superando i 18,9 miliardi di euro. E´ questo il dato da cui partire per fare il punto su un decennio di ecomafia.

Il termine «ecomafia» venne infatti coniato dalla Legambiente nel 1994: serviva a indicare un cartello di cosche che aveva messo al centro della sua attività i traffici a danno dell´ambiente. Quella scelta da parte delle organizzazioni criminali era stata facilitata da una serie di distrazioni dell´apparato statale: sui rifiuti era stata allentata la vigilanza favorendo movimenti clandestini d´ingente portata; il controllo sulle cave illegali e sugli abusi edilizi si era ridotto; attorno alle opere pubbliche, soprattutto in alcune regioni, prosperava una catena di appalti e subappalti che lasciava la porta aperta alle infiltrazioni mafiose.

Il governo di centrosinistra chiuse alcune di queste porte d´illegalità, rallentando lo sviluppo dell´ecomafia senza però riuscire a fermarlo. Lo sforzo in particolare si concentrò sul traffico di rifiuti, il vero core business dell´ecomafia. Fu approvata la legge Ronchi che introduceva controlli più severi e l´obbligo di riciclo per ridurre i volumi totali. E, proprio l´ultimo giorno della passata legislatura, nel marzo 2001, venne votato il cosiddetto 53 bis, la norma che consentiva di punire con sei anni di reclusione (otto nel caso di materiali radioattivi) i trafficanti di rifiuti.

Con il governo Berlusconi la breve stagione del rigore si è bruscamente interrotta. Il condono edilizio ha contribuito a ridare fiato a un settore da cui le cosche ricavano guadagni consistenti. E sui rifiuti si è abbattuta una deregulation che ha minato le basi stesse della definizione di rifiuto, consentendo di liquidare senza particolari precauzioni sostanze che fino a ieri erano considerate pericolose: un salto tanto brusco da spingere l´Unione europea ad aprire una procedura d´infrazione nei confronti dell´Italia.

«A questo punto per rilanciare la lotta contro l´ecomafia occorre una terapia d´urto: bisogna introdurre immediatamente nel codice penale il reato di delitti contro l´ambiente», propone Enrico Fontana, responsabile dell´Osservatorio ambiente e legalità della Legambiente. «Del resto è esattamente quello che ci chiede di fare l´Unione europea: sia il Parlamento che la Commissione hanno detto che questo passo va compiuto entro il 2005. Tra l´altro uno dei reati per cui può scattare il mandato di cattura europeo è il traffico di rifiuti e di animali protetti. Ed è singolare che l´Italia, l´unico Paese in cui grazie al 53 bis sono stati arrestati 140 trafficanti di rifiuti, non abbia recepito questo aspetto della normativa europea».

A favore di un rapido rafforzamento della legislazione mirata a scoraggiare i reati ambientali si sono pronunciati sia il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna («Occorrono disposizioni penali che siano dissuasive ed efficaci e che consentano anche l´estradizione») che il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti Paolo Russo («Bisogna dare un messaggio chiaro agli ecocriminali: la penalizzazione del reato ambientale fungerà da deterrente a livello politico e sociale»).

Ma mentre il giro di vite viene annunciato senza essere realizzato, i clan criminali prosperano come non mai. Nel 2003, si legge nell´ultimo rapporto Ecomafia, gli illeciti relativi al ciclo del cemento sono aumentati di oltre il 16 per cento e quasi il 40 per cento dei reati si è concentrato nelle quattro regioni meridionali a tradizionale presenza mafiosa. Complessivamente, anche grazie all´effetto stimolante del condono edilizio deciso dal governo Berlusconi, sono state costruite (invertendo la tendenza alla diminuzione dell´abusivismo che sembrava consolidata dopo l´abbattimento di numerosi «ecomostri», dal Fuenti alle torri del villaggio Coppola) 40 mila nuove costruzioni abusive: 9 mila in più rispetto al 2002 e addirittura il 41 per cento in più rispetto al 2001.

Un altro settore in cui gli affari dell´ecomafia sono andati molto bene è lo smaltimento illegale dei rifiuti: milioni di tonnellate di veleni continuano a sfuggire ai controlli per finire nelle discariche della camorra. Nel 2003, secondo i calcoli di Legambiente, si sono misteriosamente volatilizzati nel nulla 13,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali: mettendoli assieme si costituirebbe una montagna con una base di tre ettari e un´altezza di 1.314 metri. Una delle zone più critiche, da questo punto di vista, è la Campania: vicino a Napoli si trova la cosiddetta «terra dei fuochi», un´area dove di notte dai cumuli di rifiuti abbandonati si sprigionano roghi che riempiono i campi di diossina.

Il terzo grande filone del business ecomafioso è il racket di animali: si va dal bracconaggio (l´affitto di un capanno abusivo per la caccia di frodo può rendere anche 8 mila euro l´anno) ai furti di cavalli (almeno 5 mila l´anno) che spesso finiscono macellati illegalmente. A livello mondiale questo business illegale, secondo solo al traffico di armi e di droga, vale 150 miliardi di dollari l´anno. Una torta abbondante che si spartiscono in modo quasi esclusivo i mediatori: un merlo brasiliano viene pagato 27 dollari ai bracconieri locali per essere rivenduto a 2.500 dollari in Europa. Questi margini di utile fanno sì che solo in Brasile ogni anno vengano imprigionati 38 milioni di animali selvatici: il 90 per cento muore durante la cattura o il trasporto.

Infine c´è il saccheggio del patrimonio archeologico, storico e artistico. Nel 2003 in questo settore le organizzazioni criminali hanno compiuto un impressionante salto di qualità: meno furti ma meglio mirati visto che delle 18.453 opere trafugate quasi 3 mila sono considerate di interesse notevole (nel 2002 erano solo 77). Ormai vengono saccheggiati sistematicamente luoghi simbolo dell´archeologia italiana come Pompei; si rapina lo straordinario patrimonio librario italiano (solo nel luglio 2003 sono stati sequestrati a Bari 35 manoscritti, 30 incunaboli, 634 cinquecentine, 497 edizioni secentesche); si rubano su commissione opere come la Natività di Caravaggio, il sarcofago della chiesa di San Saba a Roma e la celebre Saliera d´oro di Benvenuto Cellini, considerata la Gioconda dell´oreficeria. Un´attività resa molto produttiva da un ramificato sistema di protezione e di smistamento della refurtiva. A Ginevra ad esempio è stato scoperto un magazzino - laboratorio in cui si accatastavano capolavori destinati a collezionisti internazionali e a grandi musei. E´ in questo modo che, dopo il passaggio attraverso una società fantasma e un´asta internazionale, reperti romani ed etruschi di grande pregio sono finiti nelle teche di gallerie giapponesi, tedesche, danesi e australiane.

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