Da Corriere della Sera del 10/05/2004
Artom: il piano di Via XX Settembre
di Mario Sensini
ROMA - Il «piano scossa» per l’economia italiana entra nella fase cruciale. Domani sera (o giovedì), il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti discuteranno con i leader della maggioranza le varie opzioni sul tappeto per la riduzione delle tasse. Gli sgravi dovrebbero ammontare a oltre 10 miliardi di euro e riguardare l’intera platea dei contribuenti. Sul tavolo del governo, insieme al taglio delle tasse, ci sarà anche il progetto di riduzione della spesa (per un pari importo), necessario per finanziarlo, e certamente più difficile da digerire. Escluse sanità, scuola, sicurezza e welfare, che Berlusconi non vuole toccare, il grosso dei tagli alla spesa dovrebbe arrivare dalla revisione dei contributi pubblici alle imprese, una voce che ogni anno pesa per 50 miliardi di euro sul bilancio pubblico.
L’idea è quella di concentrare gli incentivi in un unico fondo da 10 miliardi, da reintegrare ogni anno, per offrire contributi a fondo perduto in conto interessi alle imprese, che otterrebbero mutui trentennali dalla Cassa Depositi e Prestiti a un tasso dello 0,50% annuo.
«Se il fondo resta in piedi dieci o quindici anni, quindi c’è la certezza dello strumento, le imprese avrebbero solo da guadagnare» spiega Arturo Artom, amministratore delegato di Netsystem, al quale Tremonti ha affidato la relazione al convegno Aspen da cui è emersa la proposta. «Io non vedo controindicazioni, anche se - dice Artom - dovremo discuterne con il governo in Confindustria, come ha già detto Berlusconi».
Il dibattito sul nuovo fondo è già partito. Per l’industria in senso stretto potrebbe essere vantaggioso. «Gli incentivi che vanno al settore industriale non superano effettivamente gli 8 miliardi annui. Un solo miliardo di quel fondo - afferma Artom - potrebbe agevolare, con i mutui allo 0,5%, tutti gli investimenti fatti in un anno dalle prime 15 mila imprese italiane, 53 miliardi di euro».
L’intervento massiccio della Cassa Depositi forse spiazzerebbe le banche, che infatti guardano al fondo con sospetto, ma secondo Artom favorirebbe l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, «molto difficile e non solo per l’onerosità». In ogni caso il fondo consentirebbe allo Stato di risparmiare un bel po’ di soldi, prosciugando i mille rivoli degli incentivi. «Si parla di politica industriale e bisognava buttare sul piatto uno strumento nuovo, semplice ed efficace. Se deve sostituire qualcos’altro - conclude Artom - è una decisione politica». Sicuramente non facile da prendere.
L’idea è quella di concentrare gli incentivi in un unico fondo da 10 miliardi, da reintegrare ogni anno, per offrire contributi a fondo perduto in conto interessi alle imprese, che otterrebbero mutui trentennali dalla Cassa Depositi e Prestiti a un tasso dello 0,50% annuo.
«Se il fondo resta in piedi dieci o quindici anni, quindi c’è la certezza dello strumento, le imprese avrebbero solo da guadagnare» spiega Arturo Artom, amministratore delegato di Netsystem, al quale Tremonti ha affidato la relazione al convegno Aspen da cui è emersa la proposta. «Io non vedo controindicazioni, anche se - dice Artom - dovremo discuterne con il governo in Confindustria, come ha già detto Berlusconi».
Il dibattito sul nuovo fondo è già partito. Per l’industria in senso stretto potrebbe essere vantaggioso. «Gli incentivi che vanno al settore industriale non superano effettivamente gli 8 miliardi annui. Un solo miliardo di quel fondo - afferma Artom - potrebbe agevolare, con i mutui allo 0,5%, tutti gli investimenti fatti in un anno dalle prime 15 mila imprese italiane, 53 miliardi di euro».
L’intervento massiccio della Cassa Depositi forse spiazzerebbe le banche, che infatti guardano al fondo con sospetto, ma secondo Artom favorirebbe l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, «molto difficile e non solo per l’onerosità». In ogni caso il fondo consentirebbe allo Stato di risparmiare un bel po’ di soldi, prosciugando i mille rivoli degli incentivi. «Si parla di politica industriale e bisognava buttare sul piatto uno strumento nuovo, semplice ed efficace. Se deve sostituire qualcos’altro - conclude Artom - è una decisione politica». Sicuramente non facile da prendere.
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