Da Corriere della Sera del 16/05/2004

Troppo moderato, via il nuovo imam di Roma

Insoddisfatti i finanziatori sauditi, Gomaa torna in Egitto. Il precedessore fu allontanato perché aveva esaltato i kamikaze

di Magdi Allam

ROMA - Per la seconda volta in un anno l’imam della Grande moschea di Roma, il centro istituzionale dell’islam d’Italia, verrà allontanato. Sabato prossimo, il 22 maggio, l’imam egiziano Abdulwahab Hussein Gomaa salirà a bordo di un aereo con destinazione Il Cairo. Dove è stato richiamato dall’Università islamica di Al Azhar, una sorta di Vaticano dei musulmani sunniti, che gli aveva affidato il prestigioso incarico. Ufficialmente per inadeguatezza alla sua funzione religiosa. Di fatto perché ritenuto troppo moderato dai responsabili sauditi che finanziano e gestiscono la Grande moschea. Esattamente per la ragione opposta per cui il suo predecessore e connazionale Abdel-Samie Mahmoud Ibrahim Moussa fu allontanato dall’Italia nel giugno 2003. In quel caso, l’imam in un sermone aveva esaltato i kamikaze islamici e inneggiato alla Guerra santa. Fatto che suscitò l’energica protesta del ministro dell’Interno, Pisanu. Questo nuovo sviluppo dimostra quanto sia difficile gestire l’Islam in Italia. Quanto sia probabilmente impossibile riuscire a conciliare il rispetto delle leggi e dei valori italiani con le istanze eversive manifestate dalla base integralista e estremista che si annida all'interno delle moschee. Sull’allontanamento dell’imam Gomaa si affaccia un pesante sospetto. Potrebbe essere il prezzo pagato dai gestori della Grande moschea di Roma al gruppo di integralisti che la frequentano abitualmente per l’espulsione dall’Italia di Abdul Karim al-Tibsi, un giovane algerino che lo scorso 26 marzo promosse una rivolta interna alla moschea. Sfidando apertamente l’autorità dell’imam Gomaa, al-Tibsi prese l’iniziativa di celebrare e guidare una «preghiera del morto» per commemorare lo sceicco Ahmad Yassin, il leader di Hamas assassinato dagli israeliani il 22 marzo. Di fatto, assunse volontariamente e arbitrariamente la funzione di imam. Costringendo l’imam ufficiale, Gomaa, ad abbandonare la sala delle preghiere. Un centinaio tra i circa 400 fedeli presenti si schierarono compatti con il giovane al-Tibsi, riconoscendone l’autorità e condividendone l’iniziativa. Per tre volte lanciò forte l’invocazione «Allah Akhbar!», Dio è grande. Poi esclamò: «Israele ha assassinato lo sceicco Ahmad Yassin. Onoriamo la sua memoria celebrando la preghiera dei morti».

Si trattò di un vero e proprio colpo di mano. Un’occupazione in piena regola della Grande moschea, i cui responsabili decisero di collaborare con le autorità di sicurezza italiane per contenere questo pericoloso fenomeno sovversivo. Il risultato è stata l’emanazione di un provvedimento di espulsione di al-Tibsi, in data 22 aprile, attuato il 27 aprile con il rimpatrio in Algeria. L’accusa è di far parte di un’organizzazione terroristica islamica. Ma al-Tibsi, che risiedeva legalmente da 12 anni nel nostro Paese e insegnava lingua araba e religione islamica all’interno della Grande moschea di Roma, ha fatto ricorso per ottenere l’annullamento del provvedimento di espulsione.

Ecco perché l’allontanamento volontario e ingiustificato dell’imam Gomaa suona come una concessione fatta agli integralisti per placare la loro ira. Conscio della ragione per cui fu cacciato il suo predecessore, l’imam Gomaa ha sempre evitato di occuparsi di questioni politiche. I suoi sermoni, dedicati esclusivamente a questioni spirituali e cultuali, sono risultati troppo moderati agli integralisti. Che sono arrivati a contestare la sua competenza nella giurisdizione islamica e addirittura gli è stato rinfacciato di non conoscere a memoria il Corano. Di fatto Gomaa si è trovato tra due fuochi. Da un lato, i responsabili della Grande moschea che gli intimano di attenersi esclusivamente all’ambito religioso, dall’altro, il gruppo di fedeli estremisti e militanti che lo considerano un rinnegato perché non difenderebbe la vera causa dell’islam.

Sono gli stessi estremisti che protestarono vivamente per la decisione, assunta dalla Grande moschea su pressione del ministro Pisanu, di allontanare dall’Italia il suo predecessore, l’imam Moussa. Questi, il 6 giugno 2003, concluse la preghiera collettiva del venerdì lanciando una serie di infuocate invocazioni: «O Allah, fai trionfare i combattenti islamici in Palestina, in Cecenia e altrove nel mondo! O Allah, distruggi le case dei nemici dell’Islam! O Allah, aiutaci a annientare i nemici dell’Islam! O Allah, assicura ovunque la vittoria della Nazione dell’Islam!». Pisanu intervenne con fermezza ponendo i responsabili della Grande moschea di fronte a una drastica scelta: o allontanavano autonomamente l’imam Moussa, o il governo italiano avrebbe revocato lo status di «ente morale» che la contraddistingue dai altri luoghi di culti islamici. Il buonsenso evitò all’epoca un incidente diplomatico che avrebbe potuto prodursi qualora l’Italia fosse stata costretta a espellere l’imam Moussa.

Certamente l'allontanamento di due imam della Grande moschea di Roma in meno di un anno lascia irrisolto il problema religioso e ideologico dell’identità dell’islam italiano. Ma anche il problema politico di chi rappresenta i musulmani d’Italia. Lo scorso 17 gennaio, sul palco del «Concerto della riconciliazione», nell’aula Paolo VI del Vaticano, Papa Wojtyla volle alla sua sinistra proprio l’imam Gomaa. Quella scelta, anche alla luce di quest’ultimo sviluppo, mostrò tutti i suoi limiti. Perché nell’Islam maggioritario sunnita non esiste una gerarchia religiosa e l’imam è semplicemente una funzione, non una carica. Perché Gomaa è cittadino egiziano ed è stato designato da una università islamica egiziana. Non conosce l’italiano e non ha mai frequentato la comunità musulmana in Italia. E, comunque, avrebbe abbandonato il nostro Paese allo scadere del suo mandato annuale rinnovabile. Come può un religioso simile essere indicato come il rappresentante dell’Islam d’Italia? Oggi più che mai si impone una profonda riflessione nell’interesse non solo dei musulmani, ma dell’insieme della collettività italiana.

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