Da La Repubblica del 18/05/2004

IL CASO

A Cannes la protesta dell´altra America

di Natalia Aspesi

CANNES - Venti minuti di applausi, pubblico in piedi, l´autore col faccione invaso dalle lacrime e il pugno chiuso grida «Vattene Bush!». Gli americani contro l´America di Bush si sono appropriati del Festival. È stata la giornata di Michael Moore e di Sean Penn che presentando "L´assassinio di Richard Nixon", si è scagliato contro «l´attuale presidente degli Stati Uniti che ci ha imposto una guerra vergognosa, tanto da farci rimpiangere il pur deleterio Nixon».

Sulla famosa scalinata delle star internazionali, di colpo obsolete con la loro bellezza e nudità, sale la nuova massima celebrità mondiale, quel ciccione placido e implacabile di Michael Moore, Oscar con "Bowling a Columbine": per far deflagrare finalmente una vera bomba ad alto potenziale distruttivo, le due ore del suo nuovo documentario, in concorso, Fahrenheit 9/11, che arriva pericolosamente nel momento più drammatico e confuso dell´amministrazione Bush e della ormai vera guerra in Iraq, che ha messo in una tragica trappola anche il contingente italiano a Nassiriya.

E sono gli orrori della guerra che hanno cambiato completamente lo spirito del film, nato per denunciare, dopo i 3000 morti delle Torri gemelle, gli stretti rapporti di affari tra le famiglie Bush e Bin Laden, e arrivato ormai a mostrare soprattutto l´incompetenza, l´indifferenza, la rapacità, il business, le menzogne, che hanno trascinato gli americani a liberare, invadere, un paese ormai in preda all´ostilità più diffusa.

«Le ultime scene le ho aggiunte un paio di giorni fa, e continuerò a farlo, visto che la Miramax ci finanzia altri sei mesi di lavoro». Scene, dice Moore, mai viste alla televisione americana perché "embedded", dello scempio sui corpi degli occidentali assassinati, dei bambini iracheni senza più faccia ammutoliti dalla sofferenza. Una pattuglia americana che piomba nel buio della notte in una miseranda casa terrorizzando le donne. Una vecchia che invoca la vendetta di Allah e maledice i militari che le hanno distrutto tutto. Interviste ai soldati americani dalla giovane faccia spaventata o incanaglita: siamo qui per fare il nostro lavoro, che è la guerra contro il nemico; ci hanno ingannato, non era per ammazzare bambini che siamo venuti. E in patria: la conta segreta dei morti, un migliaio, ogni giorno in aumento, i 7000 feriti e mutilati. La madre che legge l´ultima lettera del figlio ormai caduto e che va davanti alla Casa Bianca, a gridare la sua disperazione. Angosciante il modo in cui gli arroganti reclutatori in divisa girano nei paesi dove regna la disoccupazione e la povertà, soprattutto tra i neri, per attirare i ragazzi con la promessa che in Marina si impara un mestiere, si diventa cantanti famosi, si guadagna denaro.

A Washington Moore si chiede come mai su 553 membri del Congresso, uno solo abbia un figlio in guerra, e con la sua flemma corpulenta li ferma ad uno ad uno: c´è chi risponde con una battuta, chi si mostra stupito, chi scappa. Ma c´è un personaggio comico nel film, ed è Bush. Il momento più tragicamente esilarante, è quando la mattina dell´11 settembre 2001 si trova tra i piccini di una scuola e vengono a sussurrargli all´orecchio cosa è successo a New York: viso perplesso, non una piega. Poco dopo vanno a dirgli del secondo atto di terrorismo e anche qui, incerto, non si muove, continua a leggere il suo libriccino di fiabe. Il regista è bravo ad alternare a ritmo frenetico l´avanzare della tragedia e il comportamento di Bush, a martellare gli spettatori con quel viso vuoto, quegli occhi inespressivi, quella serie di smorfie con cui si prepara al trucco per la televisione, le stupidaggini che dice a raffica e quel «43% del suo tempo che passa in vacanza», pescando, giocando a golf, accarezzando cani, andando a caccia. Il montaggio alterna le bugie e il continuo contraddirsi di tutti i pezzi grossi, raccoglie testimonianze di funzionari della Cia e del Fbi che confermano come Bush avesse deciso da subito di fare guerra all´Iraq. E perché non all´Arabia Saudita visto che almeno quindici dei 19 terroristi dell´11 settembre erano sauditi? La spiegazione è semplice: un comico susseguirsi di strette di mano ed abbracci tra Bush padre e figlio e la famiglia reale saudita e di Bin Laden, i cui investimenti negli Stati Uniti, spesso in comune con i Bush, rappresentano il 7 per cento della ricchezza americana. Non per niente furono i Bush a offrire un charter, nei cieli chiusi dopo l´attentato alle torri, affinché i 24 membri della famiglia Bin Laden presenti negli Stati Uniti potessero lasciare il paese prima di essere interrogati dall´Fbi. Tragicomico il congresso di affaristi che esultano: l´Iraq è in assoluto il paese dove faremo più denaro.

Fahrenheit 9/11 è stato venduto in tutto il mondo tranne a Hong Kong, Taiwan e Stati Uniti. «A Mel Gibson che doveva finanziarci hanno fatto sapere che se non si ritirava non l´avrebbero più invitato alla Casa Bianca, la Disney ha proibito alla Miramax di distribuirlo negli Stati Uniti perché "il film è così esplosivo da poter influenzare le elezioni presidenziali del 2 novembre"». Si capisce che il governo degli Stati Uniti lo tema fortemente perché, dice Moore, «agli americani non piace essere presi in giro, non perdonano a chi nasconde la verità. Da noi vota solo il 50% della gente, se dopo aver visto il mio film, ci fosse un altro 10% di furibondi disposti a votare, mi basterebbe». Moore sostiene che un distributore americano c´è e che quindi Fahrenheit 9/11 uscirà come lui vuole, il 4 luglio e non un giorno dopo. «Dedico il film alle famiglie dei soldati ingiustamente gettati in una guerra irragionevole: non sono particolarmente interessato a una vittoria democratica, ma vorrei che il futuro presidente sia qualcuno eletto dalla maggioranza e non dagli imbrogli come è stato per Bush, che disprezza il popolo e i soldati ed è stato il presidente più tonto, affarista e pericoloso che gli Stati Uniti abbiano mai avuto».

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