Da La Repubblica del 23/05/2004

Giustizia, se questa è una riforma

di Giuseppe D'Avanzo

Ci siamo abituati all´idea che la sfortunata giustizia italiana sia stata affidata alle cure di un uomo come Roberto Castelli, che spesso imbarazza per la semplicità dell´impreparazione e dei pregiudizi che coltiva. Qualche mese fa a Venezia, dinnanzi ai delegati dell´Associazione nazionale magistrati riuniti in congresso, si ostinò a dire Bozen e non Bolzano. Gli chiesero perché. Lo sventurato chiarì che diceva Bozen «perché è rispettoso delle comunità locali».

Come se gli italiani a Bolzano non ci fossero, non fossero una comunità, non meritassero il rispetto di un ministro della Repubblica italiana. Glielo spiegarono. Castelli non capì.

In verità, credo che non capisca nemmeno qual è il groviglio di problemi che la riforma dell´ordinamento giudiziario provoca. Gli avvocati del capo del governo, sostenuti da qualche magistrato eletto o eligendo nella Casa delle Libertà, gli hanno preparato la bozza di riforma. Il Guardasigilli ha il solo compito di darle faccia, voce e pochi argomenti, molti insulti e qualche provocazione, come la richiesta (è l´ultima che ha partorito) di conoscere in anticipo la lista dei magistrati che sciopereranno martedì prossimo (per la tredicesima volta negli ultimi 30 anni, per la seconda volta negli ultimi due). Le pericolose sciocchezze che fioriscono sulla bocca di Castelli non sorprendono più, purtroppo.

Sorprende al contrario l´obliqua leggerezza con cui anche il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, che non è certo un Castelli, ha ieri affrontato la "questione giustizia". Lo ha fatto con due battute.

La prima. «Il comportamento di alcuni magistrati grida vendetta, vedi il caso di Genova dove vengono rinviati a giudizio più poliziotti e carabinieri che black bloc e terroristi in erba» (Solo per la cronaca, quell´inchiesta di Genova - che, è vero, non convince del tutto - non poteva però coinvolgere indagati mai arrestati dalle forze dell´ordine che quel giorno potevano vantare l´illustre presenza di Fini nella sala operativa di Genova).

La seconda. «La magistratura ha ragione quando rivendica la sua piena e totale autonomia, un precetto costituzionale che nessuno discute. Mi auguro però che alcuni magistrati, quelli più politicizzati, ricordino che accanto al diritto di essere autonomi c´è il dovere di essere e apparire imparziali».

Le riflessioni di Fini sono aspre e molto rivelatrici perché ci dicono, in chiaro, le ragioni della pessima riforma che la maggioranza si prepara ad approvare. Attenzione alle parole chiave. Vendetta e politicizzazione. Traduciamo allora il pensiero di Fini: i magistrati sono politicizzati ed è legittimo che il potere politico si vendichi dei loro comportamenti. Se trovate la traduzione un po´ troppo malignamente forzata, converrà leggere quanto ieri hanno voluto scrivere i magistrati della Suprema Corte di Cassazione, non certo incanutiti "pretori d´assalto".

Il paragrafo del loro lungo documento ha per titolo le "Ragioni del nostro dissenso". Vi si legge: «Il sistema di giustizia italiano presenta notoriamente un grave aspetto di crisi: la durata dei processi - civili e penali - è a dir poco intollerabile. Tutti i cittadini, e non soltanto gli addetti ai lavori, sanno benissimo che il vero, grande problema del nostro sistema di giustizia è quello dell´efficienza, dovrebbe quindi essere evidente la necessità di dare priorità assoluta a questo problema, magari con misure drastiche, con cambiamenti anche non graditi ai magistrati (e se del caso neppure agli avvocati), con interventi di rottura rispetto agli interessi delle corporazioni coinvolte, ma tutti chiaramente orientati a soddisfare l´esigenza dei cittadini di avere una giustizia più rapida. Di ciò invece non vi è traccia nel disegno di legge delega. Non vi è in quel testo neppure una norma, neppure un singolo comma, che introduca una sia pur modesta misura di efficienza. Dell´interesse pubblico - incontestabile e da tutti condiviso - ad avere processi meno lenti, meno cavillosi, più chiari e più efficienti - in altre parole, più giusti - questa riforma non intende occuparsi, quasi che fossero altri gli obiettivi più importanti ed urgenti da perseguire».

Meglio non si può dire. Le risorse assegnate all´efficienza della giustizia - è un dovere per il governo garantirla - sono al lumicino. Per dirne una, «al tribunale di Roma manca la carta igienica - ha raccontato il presidente Luigi Scotti - e due terzi dei bagni sono chiusi perché non c´è manutenzione. Qualcuno ha scritto in un bagno che "in tribunale non si fa pipì", è vero... Manca il toner e la carta per le fotocopie, dobbiamo chiedere agli avvocati di portarsela dagli studi. Nel 2003, a Roma, la giustizia civile ha emesso 3.500 sentenze in più, ma poi restano sui tavoli perché manca il personale amministrativo».

«È questa la giustizia che auspica il ministro per i cittadini?», si è chiesto Scotti. La risposta è: sì, è questa. Ci sono meno soldi per i tribunali e meno risorse per le indagini (negli uffici giudiziari, manca non solo il toner per le stampanti, ma le riviste per documentarsi, il necessario per pagare gli stenotipisti?). I codici hanno trattenuto tutti i reati inutili (espellendo, in compenso, qualche reato molto necessario). Le prassi sono diventate labirintiche. La certezza della pena, nella superfetazione ipergarantista, è diventata un fantasma grazie alle prescrizioni. In futuro, a riforma approvata, su 365 giorni almeno 150 dovranno essere utilizzati dai magistrati (il calcolo è di Luigi Scotti) per preparare i concorsi, partecipare agli stage e ai corsi di formazione.

Come più volte è stato detto, sarebbe necessaria «una riforma della giustizia», ma il governo - come per pudore e misura tacciono gli "ermellini" della Cassazione - ha «obiettivi più importanti e urgenti da perseguire»: riformare i magistrati, vendicarsi di loro, punire la loro autonomia e indipendenza che permette, anche e a volte, di controllare e sanzionare i comportamenti illeciti di chi governa. Il nodo è questo e anche un cieco può vederlo, nonostante la tempesta mediatica che il Cavaliere e i suoi scatenano contro la magistratura italiana. Sorprende che anche Gianfranco Fini, un tempo attento ed equilibrato sostenitore della magistratura, si associ a un coro più interessato a immunizzarsi che a garantire ai cittadini il diritto di avere una giustizia rapida, equa, efficiente. Conforterebbe se, martedì, accanto ai novemila e passa magistrati in sciopero si facessero vivi anche quei cittadini che vedono un loro diritto costituzionale pregiudicato dall´"interesse personale" della maggioranza.

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