Da La Repubblica del 26/05/2004

La corporazione divisa per cultura e gradi ritrova compattezza per arginare governo e maggioranza

"Una riforma contro i magistrati" e anche il Palazzaccio si ferma

di Giuseppe D'Avanzo

Governo e maggioranza hanno compiuto un miracolo. Hanno costretto l´intera corporazione in toga divisa da cultura, sensibilità, gradi, ambizioni, idiosincrasie, condizioni di lavoro, a muoversi contro il progetto di riforma dell´ordinamento giudiziario manco fosse un sol uomo. Hanno scioperato, con una percentuale dell´86 per cento (superiore quindi all´astensione di due anni fa), i magistrati alle prime armi e i magistrati a un passo dalla pensione. In Alto Adige come in Sicilia. Addetti agli affari penali e addetti agli affari civili, di ogni ordine e grado.

Presidenti di corte d´appello, procuratori generali, presidenti di tribunale, procuratori capo. Nel piccolo tribunale di provincia come nella Suprema Corte di Cassazione fino ai sedici membri togati del Consiglio superiore della magistratura. Per dirla con le parole del procuratore generale di Venezia, Ennio Fortuna: «Noi magistrati siamo divisi in cinque correnti che non sono d´accordo su niente. Oggi sulla necessità di scioperare sono tutti d´accordo: vorrà ben dire qualcosa. Vuol dire che questa è una riforma sventurata».

Che la riforma sia «sventurata» può non essere una lettura univoca. Si potrebbe, ad esempio, sostenere - e c´è chi nella maggioranza lo sostiene - che la consorteria togata si chiude a riccio e alza barricate perché è allergica a ogni innovazione modernizzante. Più esplicito il ministro della Giustizia: «L´associazione magistrati difende i propri privilegi e cioè il potere che ha oggi nel Consiglio Superiore della magistratura». Tutto qui, dunque? È di questo che si tratta? Del potere dell´Anm sul Consiglio? Tanto rumore per questo?

Vale la pena affrontare l´obiezione allungando uno sguardo alle ragioni di una magistratura "laterale", come quella militare, o all´insù agli argomenti degli ermellini della Suprema Corte di Cassazione. Giudice di legittimità, come si dice, e osservatorio privilegiato perché è qui che si valuta il lavoro dei magistrati; si garantisce il rispetto dei codici; si assicura, con l´uniforme interpretazione della legge, l´unità dell´applicazione del diritto sul piano nazionale.

La magistratura militare si dice «preoccupata». Nell´impossibilità di prevedere la ricaduta della riforma sugli attuali equilibri della giustizia militare, le "toghe in divisa" non hanno scioperato, ma fanno sapere di condividere «la viva preoccupazione per alcuni aspetti del disegno di legge che sono potenzialmente pericolosi per i principi di autonomia e indipendenza della magistratura: in primis, la separazione delle carriere e la gerarchizzazione degli uffici di Procura».

I magistrati militari offrono anche un esempio concretissimo di come «una magistratura non autonoma né indipendente possa essere oggetto di gravi deviazioni» diventando strumento d´ingiustizia. Ricorda Sergio Dini: «I gravissimi crimini nazi-fascisti in Italia sono stati a lungo occultati proprio perché la magistratura militare del dopoguerra aveva un assetto fortemente controllato dall´esecutivo. Quella magistratura militare né autonoma né indipendente, e fortemente gerarchizzata, insabbiò quelle inchieste rendendosi responsabile di un vero e proprio piano di denegata giustizia in danno delle vittime civili di guerra».

Al Palazzaccio di Roma, alla Suprema Corte di Cassazione ci sono - meglio, ci dovrebbero essere - i maggiori beneficiari della riforma. Gratificati recentemente da una correzione delle indennità per chi non abita nella Capitale, sono al vertice della "piramide gerarchizzata" disegnata dalle innovazioni dell´ordinamento giudiziario. Nonostante le blandizie del governo e le opportunità di "potere" offerte dalla riforma, gli alti magistrati hanno scioperato quasi all´unanimità. La loro adesione quasi totale alla protesta incrina l´interpretazione corporativa dello sciopero e manda per aria la versione di chi, come Castelli, vede dietro le mosse dell´associazione magistrati la volontà di difendere esclusivamente il potere autoreferenziale del Csm perché i giudici della Cassazione, con le "trovate" della maggioranza, controllerebbero non solo la legittimità delle sentenze (come accade oggi), ma inciderebbero - altro che Csm - sulle carriere di tutti gli altri giudici. Addirittura sulle loro "teste". Sulla qualità del loro lavoro. Sull´omogeneità della loro cultura alle opinioni diffuse e prevalenti. Avrebbero, se la riforma fosse approvata, un imponente potere sui destini e gli uomini dell´ordine giudiziario.

Alla Corte di Cassazione sono stati ieri celebrati soltanto i processi previsti dal codice di autoregolamentazione (due processi per licenziamento, un processo per quattordici ergastolani). In sciopero tutti i sostituti procuratori generali della Cassazione. Ferme le sei sezioni civili. Alla I sezione penale si sono astenuti tre consiglieri su cinque. Alla II penale tutto il collegio tranne il presidente. Alla III, quattro consiglieri su cinque. Unanime l´adesione allo sciopero alla IV sezione penale (al lavoro soltanto il presidente d´udienza). Quattro i no allo sciopero alla V e plebiscitaria l´astensione alla V e alla VI sezione. Al di là dei numeri, appaiono ancor più importanti le ragioni che li hanno convinti a scegliere l´irrituale forma dell´astensione.

«Riformare l´ordinamento giudiziario è certamente compito del potere politico, sostengono i magistrati della Cassazione nel loro documento di adesione alla protesta - ma farlo senza tenere conto della cultura, degli ideali e delle esperienze della magistratura non rientra nella fisiologia di corretti rapporti tra i poteri dello Stato». Per gli alti giudici la riforma è priva di attendibilità, quasi incapace di afferrare anche la complessità delle questioni che affronta e vuole confusamente, contraddittoriamente risolvere. Scrivono i giudici della Suprema Corte: «Dopo anni in cui la giustizia è stata oggetto di scontri istituzionali che non hanno paragone nella storia delle altre democrazie occidentali e che hanno destato sconcerto e allarme negli altri paesi europei, vi sarebbe soprattutto bisogno di un ritorno alla serietà nei discorsi su questo delicatissimo snodo dell´assetto istituzionale: la riforma dell´ordinamento giudiziario attualmente in discussione alla Camera è ben lontana da questa cifra».

«Nel testo approvato dalla commissione giustizia - continuano con severità gli alti magistrati - appaiono infatti dominare l´improvvisazione e l´approssimazione da una parte, la mancanza di cultura dell´istituzione e di esperienza pratica delle sue esigenze concrete dall´altra: il risultato è una sorta di inverosimile rebus, del tutto avulso dai problemi reali e dalle esigenze concrete del sistema. Per la maggior parte, le innovazioni proposte non rappresentano altro che pure e semplici regressioni all´assetto pre-costituzionale, per le quali non appare possibile ipotizzare - senza scadere nella dietrologia - quali siano gli obiettivi che esse si prefiggono, quali le utilità che si ritiene di trarne, quali le diagnosi su cui esse si basano. L´unico connotato evidente del progetto di riforma è quello di essere "contro la magistratura"».

Unico connotato: una riforma contro la magistratura. Dal giudice di legittimità ai giudici di merito, ai pubblici ministeri, ai giudici civili, ai magistrati militari si ascolta soltanto questo refrain: è una riforma contro la magistratura non per la giustizia, non è una riforma a garanzia dei diritti del cittadino. Era il messaggio che lo sciopero voleva diffondere. E ora, dopo "la dolorosa testimonianza" che cosa accadrà, che cosa può accadere?

«Possono scioperare pure un mese - dice il presidente della commissione giustizia della Camera e avvocato di Berlusconi, Gaetano Pecorella - ma non può essere una categoria a dettare una rifroma sulla quale la maggioranza ha trovato l´accordo». «Ma un legislatore illuminato - gli obietta Fabio Roja, segretario di Unicost - dovrebbe tenere conto di questo dato di forte impatto istituzionale anche perché le critiche non sono come qualcuno vuole sostenere, pregiudiziali o inquinate da valenza politica, ma sono ragionate, meditate condivise da tutta magistratura, che non può essersi improvvisamente unilateralmente ideologizzata. È vero, spetta al Parlamento approvare la riforma. Ma spetta alla coscienza istituzionale di tutti sollecitare riflessioni, confronti, dialogo».

Dialogo è la strada che, nella magistratura, si vuole ancora esplorare. Sarà una strada praticabile soltanto se, nella maggioranza, prevarrà chi non crede al conflitto e alla contrapposizione frontale con le toghe. Lo scontro quindi, tra maggioranza e magistratura, si sposta nella maggioranza. Vedremo chi nella Casa delle Libertà e nel governo la spunterà. Saranno i "guerrieri" della "dittatura della maggioranza" o i "legislatori illuminati", consapevoli della fisiologia di corretti rapporti tra i poteri dello Stato?

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