Da La Repubblica del 27/05/2004

LA POLEMICA

I ricchi e le tasse nel Paese che evade

di Massimo Giannini

Le tasse: dopo le contorsioni sull´Iraq, ecco un buon tema per dimostrare che a sinistra (come dice Giuliano Amato) i riformisti «sono qui e sono ancora vivi». E che a destra i neo-liberisti (come dimostra la riforma Tremonti) possono fare ancora molti danni. «I ricchi non vanno visti come sfruttatori», ha affermato Silvio Berlusconi. E ha mille ragioni. «Ecco perché ridurremo le tasse anche per loro», aggiunge. E qui il presidente del Consiglio di ragioni ne ha un po´ di meno. Se gli fosse riuscita prima delle elezioni, e se si fosse concretizzata in uno sconto diffuso a pioggia su tutti i contribuenti, la crociata antifisco del Cavaliere sarebbe stata probabilmente inutile sul piano economico, ma sicuramente efficace sul piano propagandistico.

Un colpo a effetto da "governo dei miracoli", come piace al premier. Sempre più mediatico, sempre meno pratico. Ma la verità è che, a regime, la riforma tributaria voluta da lui e architettata dal superministro del Tesoro è davvero un regalo alle categorie più ricche. Ed è un regalo che premia l´evasione fiscale. In Italia continua a crescere, incentivata e indisturbata. Nonostante la pioggia dei condoni di questi anni. Anzi, forse proprio grazie a questa ondata di perdonismo fiscale dilagante.

Questo paradosso lo spiegano le parole usate da Gianfranco Fini per stoppare la «scossa fiscale» che Berlusconi avrebbe voluto dare in pasto agli elettori prima del voto del 13 giugno: a partire dal 2005, due sole aliquote Irpef. La prima al 23% per i redditi fino a 70 mila euro all´anno, e la seconda al 33% per i redditi superiori. «La manovra ipotizzata da Tremonti - ha detto il vicepremier, spalleggiato dal leader dell´Udc Follini - sarebbe solo un favore ai ricchi: non si può fare un´operazione che avvantaggia solo quei 500 mila contribuenti che denunciano un reddito superiore ai 70 mila euro l´anno». Chi non sarebbe d´accordo? La vera questione italiana di questi anni non riguarda un´élìte di benestanti, ma il ceto medio, un bacino sociale sempre più esteso, scontento e indistinto.

Nelle affermazioni del leader di An, oltre a un ovvio principio di politica redistributiva, è contenuta una notizia sorprendente dal punto di vista statistico: sono solo 500 mila i cittadini che dichiarano oltre 70 mila euro di reddito lordo all´anno. Il 3,8% rispetto a una platea complessiva di circa 13 milioni di contribuenti Irpef. In parole più semplici: meno di 4 italiani su 100 denunciano al fisco più di 140 milioni di vecchie lire l´anno. Con un calcolo un po´ grossolano, cioè, meno di 4 italiani su 100 dichiarano un reddito lordo, mensile, di oltre 11 milioni 600 mila lire. In questo sparuto drappello, ci sarebbero in prevalenza quadri e lavoratori dipendenti, dirigenti d´azienda con collaborazioni esterne e consulenze. Pochissimi gli imprenditori, i liberi professionisti, i commercianti e gli artigiani. «La maggior parte del lavoro autonomo - ha spiegato infatti lo stesso Fini all´ultimo vertice di maggioranza - sta ben attenta a dichiarare fino a 69 mila euro all´anno, per non entrare nello scaglione d´imposta più alto... ».

Di questa assurda iniquità sociale c´è diffusa consapevolezza, in tutto il centrodestra. Allo stesso vertice di maggioranza, proprio il ministro del Tesoro ha distribuito un documento con alcuni dati illuminanti sull´evasione: «Nel 2001 (ultimo anno fiscale della sinistra) solo 1.081 contribuenti hanno dichiarato più di 2 miliardi di lire di reddito imponibile; solo 15.953 contribuenti hanno dichiarato 600 milioni di reddito imponibile; per contro, più di 230 mila italiani hanno acquistato auto o jeepponi di lusso... » Ma di fronte a queste anomalie del gettito, Berlusconi e Tremonti traggono ulteriori elementi a sostegno del loro "mantra" politico-culturale: tagli fiscali, tagli fiscali e ancora tagli fiscali. Lo ha detto più volte il premier, dando una giustificazione morale agli evasori: «Con queste tasse così alte, è normale che i cittadini siano indotti a non pagare... ». Lo ha ribadito il ministro, sempre nel vertice del 12 maggio: «Solo con aliquote meno elevate si eliminano gli incentivi economici o gli alibi sociali all´evasione. Solo così si potrebbe iniziare, oltre i proclami, un vero e serio contrasto all´evasione fiscale... ».

In attesa di verificare se la promessa-scommessa del Cavaliere funziona davvero, si possono avanzare almeno due perplessità. La prima perplessità è congiunturale. Se tanta gente non paga le tasse, non pare affatto che la politica dei condoni aiuti il sistema ad uscire dal nero, e a generare materia imponibile necessaria a compensare le riduzioni di spesa. Lo continua a denunciare l´Fmi: il sistema della sanatoria fiscale è «un premio all´evasione» che, creando aspettative di ulteriori condoni, si riproduce e si autoalimenta. Lo ha appena ripetuto la Corte dei conti: il condono è un «prelievo straordinario» che non si aggiunge, ma si sostituisce quello ordinario, visto che i cittadini, proprio «contando su più che probabili sanatorie poi effettivamente intervenute, estese e prorogate, danno vita a episodi non marginali di autoriduzione delle imposte». I dati empirici confermano queste preoccupazioni, come sostiene Laura Pennacchi nel libro "L´eguaglianza e le tasse" appena pubblicato da Donzelli: agli inizi del 2004, a fronte di circa 6 miliardi di entrate da condono nel 2003, si possono constatare un decremento delle entrate ordinarie da lavoro autonomo, un crollo delle entrate accertate nel contrasto all´evasione (da 32,5 miliardi di euro a 15) e una caduta delle entrate da Irpeg e Iva. Dunque il perdono fiscale non riabilita i reprobi. Piuttosto riduce ulteriormente la soglia di accettabilità del prelievo e svalorizza il fisco come strumento di redistribuzione delle risorse. A danno dell´equità sociale e del bilancio dello Stato.

La seconda perplessità è strutturale. Se la distribuzione del reddito è così sperequata, ancora a vantaggio di una cerchia ristretta di contribuenti ad alto tenore di vita, è doveroso chiedersi se il secondo modulo della riforma Tremonti non sia solo un modo per perpetuare l´iniquità, anziché superarla. Nessuno nega la necessità di introdurre una razionalizzazione del prelievo, e là dove è possibile anche una sua attenuazione. Ma se è proprio vero che solo 500 mila contribuenti denunciano più di 70 mila euro di reddito, la riduzione delle aliquote Irpef a due soli livelli rende davvero il sistema più equo? La risposta è no. A regime, la creazione di due sole aliquote si traduce in un aumento di 5 punti per l´aliquota più bassa (dal 18 al 23%) e in un abbattimento di 11 punti per quella massima (dal 45 al 33%). Anche considerando l´ampliamento della "no tax area" e l´effetto delle detrazioni e delle deduzioni, alla fine il risultato sarebbe fortemente distorsivo e socialmente insostenibile. Come hanno scritto Paolo Bosi e Massimo Baldini su "Politica Economica", una riforma del genere, a regime, contrasta con i principi della Costituzione: «Introduce una forte progressività sui redditi medio-bassi, mentre la riduce e quasi la annulla sui redditi elevati». Hanno ragione Fini e Follini: il nuovo fisco immaginato da Tremonti e benedetto da Berlusconi premia le categorie più ricche. Il guadagno medio complessivo per le famiglie, con la riforma di Forza Italia, sarebbe del 3,2%. Ma mentre per le famiglie più povere il guadagno è quasi nullo, per l´1% delle famiglie più ricche il reddito disponibile aumenterebbe dell´11,5%. In definitiva, il 20% delle famiglie italiane si approprierebbe di circa il 78% degli sgravi complessivi.

Non sembra un buon metodo, per riscrivere il patto sociale e combattere l´evasione fiscale. Anche se è sicuramente coerente con l´approccio delle destre che governano nel mondo. Si ispirano a Bush e - come scrive ancora Pennacchi - vedono nell´individuo un´entità superiore, che «esiste prima e a prescindere dalla collettività e dalle istituzioni». Hanno «una concezione preistituzionale della proprietà», che riflette una naturale «presunzione contro la tassazione, in quanto potenziale esproprio ed estorsione» rispetto ai diritti proprietari del cittadino. La destra italiana, almeno quella di Berlusconi e Tremonti, è come quella reaganiana: punta ad «affamare la bestia», a togliere cioè risorse al governo dal lato delle entrate (le tasse erariali) per costringerlo a tagliare dal lato delle uscite (la spesa sociale). La sinistra deve imparare a farci i conti fino in fondo. Difendendo il Welfare e le funzioni etiche dell´imposta. Ma senza cadere nel conservatorismo sociale e nella retorica pauperista. È un test essenziale, anche in campagna elettorale. Serve a capire se la leadership dell´opposizione, dopo la mozione unica sull´Iraq, è passata davvero a Fausto Bertinotti.

Sullo stesso argomento

 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0