Da La Repubblica del 19/05/2004

Un regime liberale non può applicare mezzi coercitivi che ledono la dignità

Quei diritti violati ma irrinunciabili

di Stefano Rodotà

Può la democrazia sopravvivere nell´età della paura? La domanda è radicale, ma ineludibile, come sempre accade quando ci si trova di fronte al lato oscuro dell´esercizio del potere, all´improvvisa scoperta che la democrazia può convertirsi nel suo contrario.

La rivelazione delle torture al tempo della guerra d´Algeria contribuì potentemente a rendere la causa francese non più difendibile agli occhi del mondo. La tortura, il piccolo libro di un francese seviziato dai suoi connazionali, Henri Alleg, scosse l´opinione pubblica e fu accompagnato da un "J´accuse" di Jean-Paul Sartre che analizzava i meccanismi che portano alla degradazione dell´umano, con un terribile rituale che abbiamo poi riconosciuto in infinite altre situazioni, nei mille Garage Olimpo che la fine d´ogni dittatura fa scoprire. Con orrore, ma senza sorpresa, perché sappiamo che quei regimi non possono fare a meno di meccanismi di annientamento che vanno ben al di là dell´estorcere una informazione.

Ma che cosa accade quando sono le democrazie a torturare? Con la tortura tutto cambia, si varca una linea di confine che separa i regimi politici e, prima ancora, le culture che fondano una convivenza civile. Oggi che la tortura è di nuovo tra noi, non possiamo limitarci all´indignazione. Dobbiamo di nuovo interrogarci sulla natura delle nostre democrazie, e fronteggiare il timore che si abbia a che fare con una istituzione clandestina, sempre pronta a riaffiorare. Riusciremo mai ad estirparla?

Intanto, diciamo no a tutti i tentativi di "relativizzare" la tortura. La terrificante decapitazione di Nick Berg o l´esecuzione di Fabrizio Quattrocchi sono assolutamente intollerabili, esprimono qualcosa che non ci appartiene e che dobbiamo contrastare, ma non possono offrire neppure un briciolo di giustificazione a qualsiasi forma di tortura. Il ricordo delle violenze ai tempi di Saddam Hussein nella stessa prigione di Abu Ghraib non autorizza indulgenze verso quelle di oggi con l´argomento che le democrazie sono capaci di reazioni sconosciute alle dittature. Non è possibile stabilire tassi di "accettabilità democratica" delle torture secondo la natura dei mezzi adoperati o la particolarità di alcune situazioni. Non è ammissibile che, oltre al corpo, si violi anche l´identità culturale e religiosa del prigioniero.

La democrazia non conosce la legge del taglione, non può mai spiegare o giustificare la propria inciviltà con la barbarie degli altri. Le sue radici sono in valori irrinunciabili, in fini non negoziabili. Non è ammissibile alcuna "ponderazione", che ci porterebbe all´esito paradossale di definire la democrazia non per ciò che essa stessa riesce ad esprimere, ma in ragione del suo opposto. O vogliamo soltanto rassicurarci, dicendo a noi stessi che, davanti ad altri e più terribili orrori, possiamo posare senza troppi rimorsi gli occhi sulle immagini venute dalle carceri irakene?

Nel suo divenire, la democrazia ha attribuito valore crescente alla dignità della persona. Con una innovazione culturale ed istituzionale di grande significato, la costituzione tedesca del 1949 si apre con le parole «la dignità umana è intangibile». Qui si coglie immediatamente la volontà di rifiutare il passato nazista, di tracciare un confine invalicabile oltre il quale, come mostrava proprio l´esperienza storica, non solo la democrazia era perduta, ma scompariva ogni diritto della persona. Il senso profondo della democrazia era proiettato al di là del suo essere regola del gioco politico. Incorporava pienamente la dimensione dell´umano, dalla quale ormai non può più separarsi senza negare la sua stessa natura.

Veniva così avviata quella «costituzionalizzazione della persona» che ha trovato piena espressione nella "Carta dei diritti fondamentali" dell´Unione europea del 2000. Proprio la memoria del Novecento, che ha conosciuto altre tragedie insieme a quella nazista, ha spinto l´Europa ad adottare lo stesso schema della legge fondamentale tedesca. «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata»: questo è il testo del primo articolo della Carta.

Vi è dunque un grande obbligo di coerenza con questi principi che deve accompagnare l´agire dei regimi democratici. La storia del costituzionalismo ci mostra come si sia passati da una fase in cui l´accento era posto soprattutto sulle procedure e l´organizzazione dello Stato ad una in cui diventa fondamentale il quadro delle libertà e dei diritti, alla cui realizzazione è finalizzato poi l´insieme degli strumenti istituzionali (elezioni, forma di Stato, forma di governo). Chi vuole "esportare" democrazia, quindi, dovrebbe essere ben consapevole del valore assolutamente prioritario assunto dalla garanzia dei diritti fondamentali che, più d´ogni proclamazione astratta delle virtù democratiche, può consentire la creazione di un consenso intorno a valori comuni.

Per questo è pericoloso offrire giustificazioni a qualsiasi forma di tortura, come si è cominciato a fare negli Stati Uniti già all´indomani dell´11 settembre, creando così le premesse "culturali" che hanno reso legittime agli occhi dei servizi segreti e dei comandi militari le istruzioni volte ad ottenere a qualsiasi costo informazioni da parte dei prigionieri. Chi imbocca questa strada si assume grandi responsabilità. Indebolisce il significato della democrazia e dà una indicazione che può anche rivelarsi inefficiente. Molti, infatti, sottolineano il rischio di distorsioni che accompagna le informazioni fornite sotto tortura, di una deriva illusoria che porta a trascurare l´essenzialità delle più faticose attività investigative.

Non è dunque l´immagine di una democrazia inerme e arrendevole quella che ci viene dalla critica radicale della tortura, ma di una democrazia che la forza delle cose obbliga a riflettere più profondamente su se stessa. Storicamente, da queste prove la democrazia è uscita rafforzata proprio quando ne ha tratto ragione per una più profonda affermazione dei suoi valori. La constatazione, per qualcuno rassegnata o cinica, di una pratica della tortura ancora diffusa nel mondo dovrebbe indurre a considerare la vicenda irakena non come una parentesi da chiudere frettolosamente, ma come l´impietosa rivelazione d´una verità che i democratici di tutto il mondo dovrebbero porre a base d´una azione quotidiana contro questa violenza estrema.

Ora che abbiamo scoperto che la tortura non è solo cosa degli "altri", dobbiamo guardare più profondamente all´interno dei nostri paesi. L´esasperazione delle esigenze di sicurezza genera trasformazioni autoritarie del sistema di governo (come negli Stati Uniti) o crescita delle violenze poliziesche (com´è stato appena documentato in Francia). Non chiudiamo gli occhi di fronte a queste forme di violenza "minori", a queste meno palpabili mortificazioni di diritti individuali e collettivi. Le perversioni dei sistemi democratici cominciano sempre da lontano.

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