Da La Repubblica del 12/05/2004
Originale su http://www.repubblica.it/2004/e/sezioni/politica/iraqita5/obbli/obbli.html

Commento

Obbligo di trasparenza

di Giuseppe D'Avanzo

IL SILENZIO non è lo strumento adeguato a proteggersi dagli interrogativi sollecitati dalla crisi irachena. Interrogativi che stringono in un solo nodo la nostra missione in Iraq, lo scandalo delle torture di Abu Ghraib, la prigionia degli ostaggi italiani, il ricatto dei mujahiddin, il futuro della presenza italiana in Mesopotamia, le nostre scelte nei consessi internazionali. L'opacità non è mai un buon affare e può diventare pessimo non solo per questo governo, ma per il Paese, per la sua credibilità internazionale, per la sicurezza dei nostri uomini che sono al lavoro in Iraq, in divisa e senza. Pessimo per la qualità della nostra democrazia. In queste ore, la notizia della decapitazione d'un contractor civile americano in ritorsione alle nefandezze di Abu Ghraib incrocia le dichiarazioni della signora Pina Bruno, vedova di Massimiliano, maresciallo dei carabinieri morto nella strage di Nassiriya. La signora ha spiegato che i nostri carabinieri si sono trovati ad assistere agli abusi e ai maltrattamenti che la polizia irachena infliggeva ai detenuti comuni (non quindi ai detenuti per terrorismo che erano a disposizione delle forze della coalizione): prigionieri rinchiusi in una cella al buio, nudi, in ginocchio, senza acqua e senza cibo per giorni. Pina Bruno ha ricordato che il marito denunciò il caso "ai comandi" e "che non accadde nulla".

Sia chiaro: non siamo di fronte a un caso Abu Ghraib. I nostri soldati sono stati estranei alle violenze che hanno segnato il carcere di Bagdad, ma questa differenza, pure essenziale, può farci sentire estranei al clima di furore e d'inimicizia che contraddistingue i rapporti tra le forze armate della coalizione e la popolazione irachena? Il ministero della Difesa è stato informato delle difficoltà incontrate dall'addestramento delle nuove forze di polizia locale? Quali iniziative sono state assunte per evitare nuovi abusi? Ce ne sono stati? Ancora ci sono? In assenza di evidenze o di prove contrarie, le smentite della Difesa e del Comando generale dei carabinieri vanno prese per buone. Ma possono bastare due "noterelle" che smentiscono i fatti e invitano ancora al silenzio? Sono ormai troppe le questioni che, con il precipitare della crisi irachena verso la catastrofe, non trovano risposta coperte dal silenzio, cacciate come la polvere sotto il tappeto.

Accade che nel pomeriggio si può assistere in tv agli interrogatori severi, aspri a cui dal Senato degli Stati Uniti sono sottoposti Donald Rumsfeld, i suoi vice, schiere di generali dello Stato maggiore delle Forze armate. A sera in Italia si deve prendere atto che il presidente del Consiglio tace e il vicepresidente del Consiglio si limita a ripetere: "Non capisco su cosa dovrebbe riferire il governo".

Se il governo non ha nulla da riferire, questo è un problema. Sapeva delle procedure utilizzate ad Abu Ghraib? No. Bene, ma non ha nessuna domanda da porre al suo maggiore alleato? Nessuna rassicurazione da chiedere? E, se qualche domanda è stata posta (perché non va escluso che qualche cosa pure avvenga dietro la cortina governativa del silenzio), che cosa ha risposto Washington?

Sembra di capire che il governo di Roma non sappia e non voglia sapere niente di niente per poter poi dire che l'Italia è estranea all'intervento armato in Iraq e all'involuzione che lo sta condannando alla sconfitta. È un argomento leggero come l'aria e soprattutto illusorio perché noi siamo lì e, agli occhi degli iracheni, tra noi e le forze della coalizione angloamericana, non c'è alcuna differenza. Come dimostrano la strage di Nassiriya, i proclami di al Zarqawi, il sequestro degli ostaggi e il ricatto politico che ancora incombe sull'Italia. In questa sovrapposizione della nostra presenza alla presenza degli americani si rintraccia l'altro gruppo di questioni a cui il governo oppone un silenzio che è politicamente miope, se non irresponsabile.

Il caso degli ostaggi. Palazzo Chigi dice: stiamo facendo di tutto per riportarli a casa, ma non trattiamo con i terroristi. Che cosa vuol dire? Che cosa si è fatto in queste quattro pasticciate settimane? Che cosa si intende fare nel futuro? La catena di comando. Il generale Ayala, per conto del comando delle forze armate spagnole, ha riferito al suo governo che i soldati spagnoli erano diventati "semplici spettatori di ordini offensivi imposti dal comando statunitense, non eseguiti perché le truppe spagnole dovevano partecipare soltanto al processo di stabilizzazione e di ricostruzione". È legittimo chiedere se quegli "ordini offensivi" sono imposti anche alle nostre truppe? Se le nostre truppe le eseguono? Se gli ordini del comando americano travalicano i limiti imposti dal solo processo di stabilizzazione e ricostruzione? È lecito sapere quali sono i rapporti tra le nostre forze armate e quelle alleate?

Al punto in cui sono le cose in Iraq, dovrebbe essere avvertita non come una possibilità ma come un dovere discutere in Parlamento delle scelte nazionali in quella che, per alcuni osservatori, è già la terza guerra mondiale. Come dimostrano Usa, Gran Bretagna, Spagna, Giappone - e l'elenco potrebbe continuare - una democrazia in buona salute affronta questioni così complesse e decisive in pubblico, con trasparenza, con rigore e responsabilità. Non con una battuta farfugliata in fretta lungo strada tra un commento al campionato di calcio e l'ultima trovata propagandistica.

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