Da Corriere della Sera del 28/05/2004
Il nuovo piano di Sharon «Ritiro da Gaza a tappe»
di Elisabetta Rosaspina
GERUSALEMME - Ore decisive per Ariel Sharon che deve convincere, entro dopodomani mattina, almeno uno dei suoi tre riottosi ministri ad appoggiare il piano di ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza. Per renderlo più digesto all'ala di estrema destra del suo governo, il premier israeliano ha modificato i suoi progetti, studiando un ritiro graduale, in tre o addirittura quattro fasi. La prima delle quali prevede lo smantellamento delle colonie più piccole e indifendibili, come Netzarim: 65 famiglie, protette da centinaia di soldati. Ma dopo il referendum interno al partito del primo ministro, il Likud, che ha sonoramente bocciato il piano (60 per cento di «no»), Sharon deve ora fronteggiare anche l'ostilità di otto dei suoi ministri, decisi «a non far rientrare dalla finestra ciò che il Likud ha buttato fuori dalla porta», per dirla con il leader del Partito di Unità Nazionale, Avigdor Lieberman.
La promessa di sottoporre ogni fase all'approvazione del governo ha permesso ad Ariel Sharon di conquistare undici ministri. Gliene basterebbe un altro fra i tre incerti, Silvan Shalom (Esteri), Benyamin Netanyahu (Economia) e Limor Livnat (Istruzione), tutti del Likud, per vincere almeno il primo round. Sembra che Shalom e Netanyahu abbiano già promesso ufficiosamente il loro consenso.
Sharon ha specificato che il suo obiettivo è l'abbandono completo della Striscia entro il 2005, come promesso all'amministrazione americana.
In tutto dovrebbero lasciare Gaza 7.500 coloni, e inizialmente si pensava al loro trasferimento in blocco. Ora il trasloco sarà diluito: dei 21 insediamenti, comincerebbero a esserne evacuati tre. Nel mazzo sono entrati anche quattro colonie in Cisgiordania, in cambio di vaste, ma non meglio definite aree dei territori palestinesi al di là della linea verde, la vecchia frontiera fra Israele e Giordania, fino al '67.
Persa l'estrema destra, religiosa e non, Sharon ha dovuto cercare un compromesso fra i ministri del suo stesso partito, il Likud, il centro destra, come il laico Shinui, che minaccia, per bocca del ministro della Giustizia Tommy Lapid, di uscire dal governo se il piano non passerà nella sua versione originale: «Meglio una versione ridotta che nulla», gli ha risposto Sharon.
A tutto ciò si aggiungono la pressione della sinistra che, con Yossi Sarid, si prende gioco del nuovo piano, definendolo «lo smantellamento di qualche vaso di fiori», e soprattutto le pressioni internazionali.
Copie del piano stanno per essere inviate ai governi di Giordania ed Egitto.
La promessa di sottoporre ogni fase all'approvazione del governo ha permesso ad Ariel Sharon di conquistare undici ministri. Gliene basterebbe un altro fra i tre incerti, Silvan Shalom (Esteri), Benyamin Netanyahu (Economia) e Limor Livnat (Istruzione), tutti del Likud, per vincere almeno il primo round. Sembra che Shalom e Netanyahu abbiano già promesso ufficiosamente il loro consenso.
Sharon ha specificato che il suo obiettivo è l'abbandono completo della Striscia entro il 2005, come promesso all'amministrazione americana.
In tutto dovrebbero lasciare Gaza 7.500 coloni, e inizialmente si pensava al loro trasferimento in blocco. Ora il trasloco sarà diluito: dei 21 insediamenti, comincerebbero a esserne evacuati tre. Nel mazzo sono entrati anche quattro colonie in Cisgiordania, in cambio di vaste, ma non meglio definite aree dei territori palestinesi al di là della linea verde, la vecchia frontiera fra Israele e Giordania, fino al '67.
Persa l'estrema destra, religiosa e non, Sharon ha dovuto cercare un compromesso fra i ministri del suo stesso partito, il Likud, il centro destra, come il laico Shinui, che minaccia, per bocca del ministro della Giustizia Tommy Lapid, di uscire dal governo se il piano non passerà nella sua versione originale: «Meglio una versione ridotta che nulla», gli ha risposto Sharon.
A tutto ciò si aggiungono la pressione della sinistra che, con Yossi Sarid, si prende gioco del nuovo piano, definendolo «lo smantellamento di qualche vaso di fiori», e soprattutto le pressioni internazionali.
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