Da La Repubblica del 30/05/2004

Kalashnikov e Corano i due mondi del terrore

di Khaled Fouad Allam

L´attacco di Al Qaeda in Arabia Saudita con la cattura degli ostaggi può essere letto in due modi. Il primo è legato alla crescente pressione dei servizi sauditi sulle cellule terroristiche. Un impegno che scatena e sempre più scatenerà reazioni violente da parte dei gruppi radicali. La cattura degli ostaggi può dunque essere letta come la risposta di Al Qaeda nei confronti dei servizi di sicurezza. La seconda lettura tocca l´assetto politico del Paese: da parecchi anni infatti l´Arabia Saudita è teatro di un tentativo di destabilizzazione del regime.

Dopo la prima guerra del Golfo, nell´estate del ´92, un gruppo di teologi wahabiti del regime scrisse un documento, Muzaqarat al Nasiha (memorandum di consiglio), una specie di cahier de doléances indirizzato alla famiglia reale saudita per metterla in guardia dalle sue aperture verso l´occidente: il testo fu firmato da cinquanta teologi. Nel periodo intercorso tra le due guerre del Golfo, invece, la posizione militare americana in Arabia Saudita si è rafforzata. Negli ultimi quindici anni nel Paese si sono sovrapposte due tendenze discordanti: la dottrina dello stato, di matrice wahabita, che tende a mantenere intatta la natura confessionale del regime basata sulla stretta osservanza dell´ortodossia islamica, si è accompagnata all´occidentalizzazione sfrenata dei consumi della società saudita.

L´attentato dell´11 settembre ha messo in luce una società saudita "doppia", una società che vive in maniera schizofrenica in un mondo doppio: da una parte ipermodernità tecnologica, dall´altra rigidità dei principi islamici. Questo fenomeno porta a generare quelli che si potrebbero definire "nuovi mostri", come Bin Laden o l´egiziano Al Zawahiri, che rivendicano un ordine politico inventato a partire dall´immaginario della Umma (comunità dei credenti). E ora, dopo l´11 settembre, dopo la guerra in Afghanistan e quella in Iraq, la loro strategia di destabilizzazione si sta spostando nell´area mediorientale e nel cuore dell´Arabia Saudita. Si può affermare che le milizie di Al Qaeda hanno già penetrato la società saudita, e che la loro strategia attuerà nei prossimi mesi una crescente pressione sul regime, appoggiandosi anche su un complesso sistema di relazioni tribali basate sui clan, e agendo dall´interno e mirando a una sorta di implosione del regime.

Infatti la società saudita, anche nelle sue espressioni politiche, non è affatto compatta: nella cerchia del potere non tutte le appartenenze tribali confluiscono nella stessa visione e nella stessa strategia di approccio agli sconvolgimenti in atto nel Medio Oriente attraverso la situazione irachena. I sauditi temono l´avvento del potere sciita a Bagdad, una rivoluzione che trasformerebbe l´Iraq nel secondo Paese sciita del mondo e darebbe vita ad un pansciismo che domani potrebbe anche rimettere in discussione la custodia dei luoghi santi dell´Islam. La strategia di Al Qaeda è legata anche a questo: partendo dall´Arabia Saudita vuole rendere impossibile la strutturazione di questo nuovo potere sciita, e allo stesso tempo rivendicare il perpetuarsi del rapporto di forza dei sunniti sugli sciiti.

È dunque evidente, in questa strategia, la volontà di creare una relazione di causa-effetto: perché più si destabilizza l´Arabia Saudita, più l´incertezza politica farà venir meno la possibilità di un assestamento democratico in Iraq. E il Medio Oriente e il mondo arabo in generale entreranno in una fase di crisi politica totale. Nell´incertezza tra un processo di democratizzazione di quest´area e l´instaurazione di un ordine politico radicale islamico di matrice jihadista, si rischia la crisi politica e la deflagrazione economica a causa del petrolio.

Dal punto di vista della logica politica, è evidente che la strategia di Al Qaeda non mira più alla conquista del potere attraverso un colpo di stato - come l´ideologo Sayyd Qutb aveva teorizzato negli anni ´60 - ma è quella di mantenere costantemente in atto un processo di destabilizzazione dal basso attraverso attentati e cattura di ostaggi, che si ripetono a cadenze costanti, come se si volesse cacciare una specie fino all´estinzione.

Inoltre appare oggi evidente, nel mondo musulmano in generale, un universo politico spaccato. Se vi sono dei movimenti che oggi sono divenuti dei partiti politici islamisti, come in Turchia, in Marocco o in Giordania, e che entrando nel gioco parlamentare sono stati costretti ad accettare una logica dello stato che prima negavano in nome della Umma; la loro normalizzazione ha provocato anche la fuoruscita da essi di alcuni elementi che hanno creato un nuovo universo politico nell´islam, quello del salafismo jihadista mondiale, che immagina la possibilità di una Umma rivoluzionaria musulmana sunnita, e che tenta di attuare fra Jedda, Bagdad e l´Europa non solo la sua esportazione ma il reclutamento di nuove leve, pronto a fare del Medio Oriente il luogo dei loro sogni totalitari.

Questo nuovo islam politico, molto complesso da analizzare, è il prodotto della storia stessa dell´islam contemporaneo, ed è anche il risultato di tutta una letteratura politica che non ha mai cessato di vedere il processo di modernizzazione dei paesi islamici come antitetico alla purezza delle origini. Ma il paradosso vuole che sia la letteratura politica che ha dato contenuto al formarsi di questo pensiero, sia la traiettoria dei soggetti dell´islam salafista, sono il risultato della modernità, modernità che essi continuano ad odiare e a rifiutare perché per troppo tempo hanno vissuto in un mondo doppio: un mondo in cui convivono Internet, il kalashnikov e il Corano, un Corano che loro leggono erroneamente, confiscando a molti musulmani la possibilità di leggerlo con gli occhi aperti su quella che è la grande questione del nuovo secolo per l´islam e per il mondo arabo: la scelta tra democrazia e la tirannia.

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