Da La Repubblica del 04/06/2004

Libertà e soldi ma senza democrazia

Il rapido sviluppo ha creato ricchezza ma anche problemi

di Federico Rampini

LA LIBERTÀ di viaggiare all´estero, di comprarsi la Bmw e il videotelefonino, di vestire Armani, di fare le ore piccole in discoteca, di leggere romanzi soft-porn, o di mandare i figli alla scuola privata inglese. Per l´osservatore esterno queste sono le libertà a cui oggi tengono i ventenni-trentenni di Pechino, Shanghai e Guangzhou: una generazione diversa da quella che fu protagonista 15 anni fa della protesta di Tienanmen. Due ondate di boom economico - all´inizio degli anni ?90 sotto l´impulso di Deng Xiaoping, poi all´inizio del terzo millennio - hanno reso irriconoscibile la Cina di oggi rispetto al 1989: allora era il più grande fra i paesi del Terzo mondo, oggi le banche d´affari scommettono sulla data in cui effettuerà il sorpasso sull´economia tedesca, sul Giappone, infine l´aggancio con gli Usa.

Le preoccupazioni per i leader di Pechino oggi sono ben altre rispetto a 15 anni fa. Non c´è un dissenso organizzato che ponga all´ordine del giorno la questione delle libertà democratiche. Invece ci sono gravi problemi di inquinamento ambientale. C´è l´urgenza di rallentare una crescita economica fin troppo "surriscaldata" a Pechino e Shanghai, ma senza penalizzare le zone interne e le campagne, dove il benessere arriva col contagocce. Ci sono le tensioni legate alla chiusura di aziende statali decotte: privatizzazioni, licenziamenti, disoccupazione, emigrazione del sottoproletariato rurale verso le megalopoli costiere. C´è l´assenza di un Welfare State in una società che invecchia rapidamente per il successo fin troppo veloce del controllo delle nascite. Perfino in Occidente molti governi ed esperti pensano che sfide così immense richiedano un´autorità centrale forte, e non hanno fretta di vedere la Cina avventurarsi in esperimenti politici "alla Gorbaciov".

Questo non significa che la Cina sia politicamente immobile dal 4 giugno 1989. Il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao rappresentano non solo un salto generazionale rispetto a Jiang Zemin, ma anche un salto di stile. È solo immagine? Alcune novità sono reali. Confrontata all´inizio con la crisi sanitaria della Sars questa leadership prima ebbe il riflesso pavloviano dei regimi totalitari: censurare. Poi ci fu una svolta con il licenziamento del ministro della Sanità e un atteggiamento più trasparente. Wen ha aperto un fronte di riforma all´interno del partito comunista con lo slogan «Dove c´è potere deve esserci responsabilità», e alcuni scandali sono stati seguiti dalle dimissioni dei più alti dirigenti. In controtendenza, c´è il rifiuto di Pechino di autorizzare libere elezioni a Hong Kong: un segnale che sembra nascondere insicurezza.

È inevitabile chiedersi se la generazione-Armani, che è anche la generazione Internet, si accontenterà per sempre del solo benessere. E se il monopolio del potere sarà in grado di mediare le tensioni sociali tra città e campagna, tra nuovi poveri e nuovi ricchi. Tra la democrazia indiana e il paternalismo autoritario di Singapore, finora la leadership cinese non ha esitazioni sul modello da seguire per la transizione verso una società capitalistica sviluppata. Ma le sorprese della storia sono infinite.

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