Da La Stampa del 07/06/2004
Droga, la legge Fini non piace alla destra e si è già arenata
di Filippo Ceccarelli
Ma che fine ha fatto la legge Fini sulla droga?
Eh: proprio quando la campagna elettorale sta per finire si apprende che solo il 10 di maggio la normativa è approdata al Senato. Ddl numero 2953, stato dell'iter: da assegnare alle commissioni. Come dire che il controverso provvedimento, a suo tempo sbandierato come «dovere civico», «impegno morale», «atto qualificante del centrodestra», nonché prevedibile cavallo di battaglia di An per le europee, è ancora, come si dice, «al carissimo amico». Parte da zero, o forse addirittura non parte più.
Ora, se c'è una figura pubblica che il neo-proibizionismo vedeva come fumo agli occhi è Vasco Rossi, che l'altra settimana ha tenuto un concerto a Latina. Bene: il sindaco della città, Vincenzo Zaccheo, di An, ha ritenuto «doveroso» ringraziare tra gli altri «il grande artista per aver inneggiato ai valori e agli ideali che, al di là delle appartenenze e delle convinzioni, comunque debbono accomunare tutte le persone responsabili e consapevoli di avere un forte ascendente sui giovani». Così Zaccheo, in un crescendo d'entusiastica e strepitante gratitudine: «Rispondo al grazie di Vasco urlando io a lui il mio grazie».
Cosa è accaduto? Perché i ritardi, il silenzio, l'oblio? Sembra un caso piuttosto insolito e interessante. Di lentezza parlamentare, e vabbè. Ma anche d'incertezza decisionale e magari di inesorabile potenza demoscopica. Nel senso che potrebbe esserci - vai a sapere - un sondaggio (segreto) che vivamente sconsiglia Fini dall'insistere con la droga.
Di sicuro, l'inchiesta pubblicata negli ultimi due numeri de la Destra (2.500 questionari più altri 1.500 pervenuti in redazione in un secondo tempo) dimostra abbastanza chiaramente che l'argomento droga non è sentito, né in fondo condiviso dalla stessa base di An. Solo il 55 per cento lo pone al centro dell'agenda; quota che scivola «sotto il 30 per cento» nella seconda rilevazione. E questo un po' già autorizza a sospettare - come ritiene Guido Blumir, autore del pamphlet «La marijuana fa bene, Fini fa male» (Stampa Alternativa, 2003) - che un certo numero di post-fascisti si fanno, come parecchi post-italiani, le canne.
E se le faranno pure, pazienza: sull'Indipendente il giornalista Filippo Rossi ha ventilato la scandalosa tesi con dotti riferimenti filosofici e romanzi di nuovi autori di destra. Ma non è questo il punto. Ciò che può aver spinto, attraverso l'inoperoso circuito governo-gruppi parlamentari, la silenziosa frenata di An è l'atteggiamento più generale dell'elettorato. E tuttavia, in questo caso, si resta colpiti non solo dall'abbaglio preso, ma anche dalla disinvoltura con cui gli odierni leader, di punto in bianco, impegnano se stessi e il loro partito su questo o su quel tema, salvo poi riporlo silenziosamente nel cassetto perché la prima agenzia di comunicazione gli dice che sotto elezioni non è il caso.
Fini annunciò il provvedimento nel maggio del 2003. Anche allora la droga era una questione sensibile, complessa e controversa, fonte di sofferenza per un sacco di gente, certo, ma anche specchio di profonde modificazioni (e omologazioni) avvenute nella società. Ciò nonostante, il vicepresidente del Consiglio fu oltremodo risoluto: «Dobbiamo avere il coraggio di usare una parola tabù e politicamente scorretta: repressione».
Rullarono quindi i tamburi: «Battaglia senza compromessi», «lotta non solo a parole», «tolleranza zero» (a costo zero). Disse anche, Fini, che la legge sarebbe arrivata in Consiglio dei ministri «tra qualche settimana». Ci è arrivata a marzo di quest'anno, e per due volte, essendo la prima una finta. Al momento non è neanche all'ordine del giorno. E se pure l'eventuale ripensamento può essere un bene, sui tempi definitivi di approvazione, mai come in questo caso si potrebbe dire: campa cavallo, che l'erba (!) cresce.
Eh: proprio quando la campagna elettorale sta per finire si apprende che solo il 10 di maggio la normativa è approdata al Senato. Ddl numero 2953, stato dell'iter: da assegnare alle commissioni. Come dire che il controverso provvedimento, a suo tempo sbandierato come «dovere civico», «impegno morale», «atto qualificante del centrodestra», nonché prevedibile cavallo di battaglia di An per le europee, è ancora, come si dice, «al carissimo amico». Parte da zero, o forse addirittura non parte più.
Ora, se c'è una figura pubblica che il neo-proibizionismo vedeva come fumo agli occhi è Vasco Rossi, che l'altra settimana ha tenuto un concerto a Latina. Bene: il sindaco della città, Vincenzo Zaccheo, di An, ha ritenuto «doveroso» ringraziare tra gli altri «il grande artista per aver inneggiato ai valori e agli ideali che, al di là delle appartenenze e delle convinzioni, comunque debbono accomunare tutte le persone responsabili e consapevoli di avere un forte ascendente sui giovani». Così Zaccheo, in un crescendo d'entusiastica e strepitante gratitudine: «Rispondo al grazie di Vasco urlando io a lui il mio grazie».
Cosa è accaduto? Perché i ritardi, il silenzio, l'oblio? Sembra un caso piuttosto insolito e interessante. Di lentezza parlamentare, e vabbè. Ma anche d'incertezza decisionale e magari di inesorabile potenza demoscopica. Nel senso che potrebbe esserci - vai a sapere - un sondaggio (segreto) che vivamente sconsiglia Fini dall'insistere con la droga.
Di sicuro, l'inchiesta pubblicata negli ultimi due numeri de la Destra (2.500 questionari più altri 1.500 pervenuti in redazione in un secondo tempo) dimostra abbastanza chiaramente che l'argomento droga non è sentito, né in fondo condiviso dalla stessa base di An. Solo il 55 per cento lo pone al centro dell'agenda; quota che scivola «sotto il 30 per cento» nella seconda rilevazione. E questo un po' già autorizza a sospettare - come ritiene Guido Blumir, autore del pamphlet «La marijuana fa bene, Fini fa male» (Stampa Alternativa, 2003) - che un certo numero di post-fascisti si fanno, come parecchi post-italiani, le canne.
E se le faranno pure, pazienza: sull'Indipendente il giornalista Filippo Rossi ha ventilato la scandalosa tesi con dotti riferimenti filosofici e romanzi di nuovi autori di destra. Ma non è questo il punto. Ciò che può aver spinto, attraverso l'inoperoso circuito governo-gruppi parlamentari, la silenziosa frenata di An è l'atteggiamento più generale dell'elettorato. E tuttavia, in questo caso, si resta colpiti non solo dall'abbaglio preso, ma anche dalla disinvoltura con cui gli odierni leader, di punto in bianco, impegnano se stessi e il loro partito su questo o su quel tema, salvo poi riporlo silenziosamente nel cassetto perché la prima agenzia di comunicazione gli dice che sotto elezioni non è il caso.
Fini annunciò il provvedimento nel maggio del 2003. Anche allora la droga era una questione sensibile, complessa e controversa, fonte di sofferenza per un sacco di gente, certo, ma anche specchio di profonde modificazioni (e omologazioni) avvenute nella società. Ciò nonostante, il vicepresidente del Consiglio fu oltremodo risoluto: «Dobbiamo avere il coraggio di usare una parola tabù e politicamente scorretta: repressione».
Rullarono quindi i tamburi: «Battaglia senza compromessi», «lotta non solo a parole», «tolleranza zero» (a costo zero). Disse anche, Fini, che la legge sarebbe arrivata in Consiglio dei ministri «tra qualche settimana». Ci è arrivata a marzo di quest'anno, e per due volte, essendo la prima una finta. Al momento non è neanche all'ordine del giorno. E se pure l'eventuale ripensamento può essere un bene, sui tempi definitivi di approvazione, mai come in questo caso si potrebbe dire: campa cavallo, che l'erba (!) cresce.
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