Da Corriere della Sera del 09/06/2004

IL PERSONAGGIO

La rete dell’egiziano

di Guido Olimpio

«Mohammed l’egiziano» era dispiaciuto e triste. Perché i suoi compagni, i kamikaze dell’11 marzo, «erano andati in Paradiso e lui non aveva potuto seguirli». Parole captate dalle intercettazioni. Parole ripetute quando Mohammed si è spostato nel rifugio milanese di via Chiasserini, da dove progettava nuovi massacri in Europa. «Andiamo, siamo pronti al martirio», ripeteva rivolto al suo complice. Una vera ossessione. Il militante qaedista sa come uccidere. Un uomo abile nel manipolare le menti e l’esplosivo essendo cresciuto nell’università di Osama, i campi d’addestramento in Afghanistan. Il marocchino Rabei Osman Sayed Ahmed - questa la vera identità - aveva già alle spalle un passato da soldato avendo servito nell’esercito del suo Paese. Poi, dopo aver abbracciato il pensiero jihadista, si è specializzato in operazioni clandestine viaggiando a lungo tra l’Europa e il Medio Oriente. La Spagna, la Francia, il Belgio, forse l’Inghilterra e, naturalmente, l’Egitto. Mohammed non è una piccola pedina nel Grande Gioco. E’ piuttosto un pianificatore.

Nel gennaio 2001 Mohammed è in piena attività a Madrid. I servizi di sicurezza spagnoli lo inquadrano nei loro radar così come il giudice Garzon. L’estremista resta comunque ai margini, sopravvive alle inchieste della magistratura e diventa un punto di riferimento. Lo vedono spesso con Serhane Ben Abdelmajid Fakhet, detto «il tunisino», il futuro capo del commando dell’11 marzo. Vanno nella stessa moschea, trascorrono molto tempo insieme. Fakhet gli propone di sposare una donna marocchina: è un modo per tenere unito il gruppo, ricorrendo a legami di clan o familiari. Per la polizia è in questa fase che si sta formando il gruppo di fuoco che agirà nel marzo di quest’anno. Da una parte c’è la filiera del Gruppo marocchino combattente, guidata dal Tunisino. Dall’altra la «sezione» siro-egiziana rappresentata proprio da Mohammed. Questi è in contatto con i fratelli Amallah, con Basel Gayoun e soprattutto con l’algerino Amer Azizi, testa pensante del movimento qaedista in Europa e oggi in Iraq. Il rapporto con i siriani ha un altro risvolto interessante. E’ possibile che Mohammed risponda agli ordini di un personaggio carismatico. Mustafa Setmarian Naser. Siriano, con la nazionalità spagnola, sposato ad una spagnola, ha vissuto per anni a Londra dove stampava il giornale del Gia algerino (Al Ansar). Poi ha raggiunto il santuario afghano dove è diventato il faro dei militanti siriani e dei marocchini del Gruppo combattente. I suoi nastri sono diventati la benzina propagandistica di decine di giovani arabi entrati nella clandestinità. I suoi insegnamenti sono stati adottati da Abu Musab Al Zarkawi, sospettato di essere il mandante nell’attentato di Madrid mentre Mohammed l’egiziano si è dedicato all’organizzazione.

E in questa realtà transnazionale non conta il passaporto ma l’adesione al qaedismo. Termine che indica: lotta armata, esperienza militare o militanza in una cellula, disponibilità al martirio, riconoscimento di Osama come guida «spirituale» di una organizzazione che non riconosce confini. E’ sempre in questo teatro che nasce il piano per condizionare la politica nei Paesi europei, usando gli appuntamenti elettorali. La Spagna di Aznar è stata punita per prima, alla vigilia del voto. Deve pagare per aver mandato i soldati in Afghanistan e in Iraq.

Visti i risultati, i militanti hanno pensato di riprovarci. Nei siti Internet e nei volantini ci sono riferimenti all’Italia, ritenuto l’anello più debole della catena filo-americana. Crescono le minacce agli «infedeli», si rilancio il ricatto. Rispunta la realtà terroristica transnazionale. Tra i fermati in Belgio ci sono marocchini, palestinesi, algerini. Lo stendardo del Gruppo marocchino combattente è abbastanza ampio da coprire volontari provenienti da paesi diversi. C’è anche un precedente: l’atto costitutivo della formazione è stato trovato, alla fine degli anni 90, in un covo di Bruxelles. Ma alcuni degli adepti vivevano a Cremona.

Persa la prima linea di capi con il suicidio collettivo di Leganès, il testimone è passato a Mohammed. Lo schema operativo è ben sperimentato. Un nucleo concentrato nel Paese dove si deve compiere l’attentato, un paio di operativi che lavorano dall’esterno in teste di ponte discrete. «L’egiziano» si reca in Francia, quindi in Germania dove per oltre due anni si è sviluppato un network con diramazioni tanto in Italia che in Spagna. L’ultima tappa di Mohammed è Milano. In Lombardia il Gruppo marocchino combattente - allargato ad altri cittadini nordafricani - può contare su appoggi logistici estesi. Diversi responsabili in fuga - Azizi, Mejjati, Benaych - sono passati proprio da Milano. Non lo avrebbero fatto se si fossero sentiti in pericolo.

L’imminente campagna europea segue quella in Iraq. Il pianificatore ha bisogno di mujahidin per attaccare nel Vecchio Continente e ne manda altri a fare le bombe umane a Bagdad. Per i qaedisti c’è un solo fronte.

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