Da Corriere della Sera del 11/06/2004

IL PENTAGONO

Gli americani: due rapitori si sono allontanati ed è scattato il nostro blitz

Covo e guerriglieri individuati anche grazie alle informazioni di un prigioniero polacco sfuggito ai carcerieri

di Lorenzo Cremonesi

BAGDAD - Sono due le squadre speciali americane che lanciano il blitz. «Una si apposta attorno all’abitazione dove sono tenuti gli ostaggi, tre italiani e un polacco. L’altra attende in posizione defilata. Ed è quest’ultima che inizia l’operazione. Quando due rapitori si allontanano nell’auto, che un aereo senza pilota spiava già da qualche giorno, i suoi agenti lasciano che percorrano qualche centinaio di metri. Poi li fermano. Giusto il tempo per acquisire le informazioni necessarie su chi è rimasto nel covo e trasmetterle al comando. Quindi la prima squadra di teste di cuoio irrompe nel covo. Non sparano un colpo. Gli ostaggi vengono liberati in una manciata di secondi», raccontano gli esperti del Pentagono ai reporter a Washington.

Un’operazione quasi tutta «made in Usa», che secondo gli inviati della rete televisiva americana Nbc a Bagdad inizia il primo di giugno.

E’ allora infatti che un gruppo di uomini armati fa irruzione negli uffici della società polacca Jedynka per sequestrare due funzionari. Uno dei due polacchi si butta fuori dall’auto che lo sta portando via e chiede aiuto a una pattuglia di gipponi americani di passaggio. «Potevano spararmi. Ma ho pensato fosse meglio prendermi un colpo alla schiena mentre scappavo, che rischiare di farmi sparare alla testa con le mani legate», racconterà più tardi. L’altro, Jerzy Kos, viene invece condotto dai rapitori nel covo dove si trovano Stefio, Cupertino e Agliana. Sarà però il suo compagno a raccontare ai servizi d’informazione polacchi i primi dettagli: i volti dei rapitori, i tipi di armi, il modello dell’auto.

Di più i portavoce militari americani in Iraq non vogliono dire. Ieri mattina il generale Mark Kimmit, la voce dell’esercito nelle conferenze stampa quotidiane, ha lasciato capire che il gruppo dei rapitori era abbastanza ben organizzato, tanto da poter colpire ancora. «Rivelare troppi dettagli sulla liberazione degli ostaggi rischia di pregiudicare la nostra possibilità di condurre altri arresti e mette in pericolo altre vite», ci ha dichiarato, pur affermando di non poter ancora valutare se tutto ciò potrebbe indurre i gruppi di rapitori a cambiare strategia e persino decidere d’ora in poi di assassinare i loro ostaggi.

Dettagli interessanti vengono invece forniti da fonti vicine alla tv araba Al Jazira . Sembra tra l’altro che non fosse in corso alcun autentico negoziato con i rapitori. «Nessuno era mai riuscito a contattare il loro gruppo. Non la Croce Rossa, non Gino Strada, né tanto meno i servizi segreti o i diplomatici italiani», dicono, confermando in parte le dichiarazioni di due giorni fa del comandante in capo delle truppe Usa in Iraq, generale Ricardo Sanchez, per cui il blitz «non è stato conseguenza di alcun negoziato». Anche il nunzio a Bagdad, Fernando Filoni, afferma di non essere mai stato a conoscenza di «alcun serio negoziato». A detta delle stesse fonti arabe, nelle ultime settimane i rapitori sarebbero addirittura stati «esasperati dalla mancanza di contatti con le autorità italiane». E aggiungono: «Sebbene i rapitori avessero trovato alcune immagini compromettenti sul computer di Stefio, per esempio le foto di lui e altri compagni in tuta mimetica vicino a mezzi militari, avevano deciso di liberarli per un riscatto tra i 40 e 50 milioni di euro. Ma non sapevano come rendere note le loro richieste». Due altri particolari in contraddizione con le versioni ufficiali: «Il gruppo che ha tenuto gli italiani è sempre stato lo stesso dal 12 aprile e il covo molto facilmente non si trova alla periferia sud di Bagdad, bensì nella regione sunnita di Ramadi».

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