Da Corriere della Sera del 21/06/2004
L’AMBASCIATORE USA
Negroponte: «Li preparerò alle elezioni»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Da potenza occupante a finanziatrice della ricostruzione e consulente elettorale: così l’ambasciatore John Negroponte, che la rappresenterà a Bagdad dal primo luglio, vede l’America in Iraq. In un’intervista alla radio, Negroponte ha asserito che la ripresa economica e le libere elezioni irachene saranno i suoi «obiettivi prioritari». Dei 19 miliardi di dollari stanziati per la ricostruzione, ha precisato, è stato speso solo mezzo miliardo, mentre languono i preparativi delle elezioni «da tenersi al più tardi a gennaio». Negroponte ha però sostenuto che il suo ruolo sarà «quello di un normale ambasciatore»: il giorno dopo che il governatore Paul Bremer passerà il potere al governo iracheno «presenterò le mie credenziali».
Secondo il Dipartimento di Stato, tutto è pronto per il cambio della guardia. L’ambasciatore Frank Ricciardone, che lavorerà con Negroponte, si è già trasferito da Manila a Bagdad per attivare l’ambasciata. Ha dichiarato che essa «non farà parte della coalizione militare né avrà autorità sull’Iraq, non sarà una foglia di fico per nascondere un proconsole». Ma Negroponte fece pesare la sua presenza in tutti i Paesi «caldi» dove fu ambasciatore, dall’Honduras al Messico, alle Filippine: in quelli di lingua spagnola fu soprannominato «Negropotente». Il Dipartimento di Stato ha ammesso di aspettarsi che faccia da mediatore tra le forze politiche in Iraq e tra l’Iraq e i Paesi vicini.
La Casa Bianca, ha affermato un portavoce, «guarda con serenità alla transizione», e in una serie di interviste Bremer ha rivendicato «enormi progressi sul piano pratico» a Bagdad. Ma il Washington Post scrive che in 15 mesi «la prevista partnership tra l’America e l’Iraq è degenerata in frizioni e risentimenti». E il Pentagono non nasconde di temere un aumento degli attentati a cavallo del 30 giugno e di non potere ritirare nessuno dei suoi 138 mila uomini. Ha anzi preparato un piano anti insurrezionale e metterà le truppe in stato di massima allerta.
Due senatori rientrati da Bagdad, il democratico Joe Biden e il repubblicano Lindsey Graham, hanno ammonito che l’America ha bisogno di aiuto e hanno chiesto alla Nato, in particolare alla Germania e alla Francia, di «comportarsi in maniera più responsabile, dando un contributo anche militare alla sicurezza e alla democrazia in Iraq». Le nostre truppe dovranno rimanere fino al dicembre 2005, ha detto Graham. In un’intervista a Der Spiegel , l’ex presidente Bill Clinton ha rilevato che «occorreranno cinque anni» perché il Paese si stabilizzi.
Secondo il Dipartimento di Stato, tutto è pronto per il cambio della guardia. L’ambasciatore Frank Ricciardone, che lavorerà con Negroponte, si è già trasferito da Manila a Bagdad per attivare l’ambasciata. Ha dichiarato che essa «non farà parte della coalizione militare né avrà autorità sull’Iraq, non sarà una foglia di fico per nascondere un proconsole». Ma Negroponte fece pesare la sua presenza in tutti i Paesi «caldi» dove fu ambasciatore, dall’Honduras al Messico, alle Filippine: in quelli di lingua spagnola fu soprannominato «Negropotente». Il Dipartimento di Stato ha ammesso di aspettarsi che faccia da mediatore tra le forze politiche in Iraq e tra l’Iraq e i Paesi vicini.
La Casa Bianca, ha affermato un portavoce, «guarda con serenità alla transizione», e in una serie di interviste Bremer ha rivendicato «enormi progressi sul piano pratico» a Bagdad. Ma il Washington Post scrive che in 15 mesi «la prevista partnership tra l’America e l’Iraq è degenerata in frizioni e risentimenti». E il Pentagono non nasconde di temere un aumento degli attentati a cavallo del 30 giugno e di non potere ritirare nessuno dei suoi 138 mila uomini. Ha anzi preparato un piano anti insurrezionale e metterà le truppe in stato di massima allerta.
Due senatori rientrati da Bagdad, il democratico Joe Biden e il repubblicano Lindsey Graham, hanno ammonito che l’America ha bisogno di aiuto e hanno chiesto alla Nato, in particolare alla Germania e alla Francia, di «comportarsi in maniera più responsabile, dando un contributo anche militare alla sicurezza e alla democrazia in Iraq». Le nostre truppe dovranno rimanere fino al dicembre 2005, ha detto Graham. In un’intervista a Der Spiegel , l’ex presidente Bill Clinton ha rilevato che «occorreranno cinque anni» perché il Paese si stabilizzi.
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