Da La Repubblica del 10/04/2004

Quei 'nemici' nelle moschee fedeli anche alla patria adottiva

Islam d'Italia

Un viaggio nei luoghi di culto dopo la massiccia 'retata preventiva'
Il rovello della 'doppia lealtà': rispetto per le leggi del Paese ospitante
Quando i poliziotti hanno bussato alla sua porta per cercare armi ed esplosivi, il tunisino Mohammed ha scoperto di essere un islamista radicale
L' imam Khaldi scioglie così il dilemma: 'Noi abbiamo denunciato quella guerra. Ma la jihad in Iraq è un problema degli iracheni'

di Guido Rampoldi

ROMA - All' alba di sabato, quando i poliziotti hanno bussato alla sua porta per cercargli in casa armi ed esplosivo, il tunisino Mohammed ben Mohammed ha scoperto d' essere un islamista radicale. E tra i più pericolosi d' Italia: è nella lista dei 161 'terroristi potenziali' fermati durante quella 'retata preventiva' . Gli stessi musulmani moderati vi diranno che la sua moschea pratica l' islam duro derivato dai Fratelli musulmani, oggi diffuso da Gaza a Marrakech, e da Torino a Napoli. Così nessuno si meraviglierebbe se anche ben Mohammed fosse espulso dall' Italia. Molti tirerebbero un sospiro di sollievo. Dopo le bombe di Madrid non è forse chiaro che alcune conventicole di immigrati islamici ci sbirciano dietro la nuca aspettando l' occasione per colpire a tradimento? Non abbiamo forse il diritto di proteggerci? Di ottenere risposte energiche alla nostra domanda di sicurezza? Però le cose si complicano quando andiamo a cercare il volto del nemico. Ben Mohammed ha 48 anni e dirige il centro islamico al Huda, la Retta via, con annessa moschea; ex insegnante, come i suoi collaboratori è stato costretto all' esilio perché militante d' un partito islamico che la polizia tunisina reprime con spietatezza. La sua moschea è nella periferia romana, in un sotterraneo buio dove, non circolando l' aria, sembrano ristagnare i fiati dei cinquecento immigrati che ogni venerdì vi pregano. Sermone in arabo e in italiano, secondo l' imam «certamente registrato dalla Digos». L' imam si chiama Samir Khaldi, 38 anni, tunisino, rifugiato politico, rosticcere a Roma e teologo islamico, sia pure in virtù d' una laurea per corrispondenza presso un istituto parigino. Come tanti altri imam laureati nello stesso modo, Khaldi irrobustisce la dottrina grazie alle lezioni di teologia del seguitissimo predicatore Kardawi, sessanta minuti trasmessi da al Jazeera. La tv satellitare del Qatar è la più popolare tra gli immigrati musulmani che capiscono l' arabo. Il suo messaggio non è fondamentalista, nel senso che non predica il totalitarismo e semmai propende per la democrazia; però, soprattutto dopo l' invasione dell' Iraq, racconta l' Occidente come un' entità aggressiva, gli Stati Uniti e Israele come colonialismi fratelli, i guerriglieri iracheni come epica 'resistenza' . Un po' di tutto questo risuona nello stanzino dove incontriamo il direttorio della moschea, tutto tunisino. Qui i Taliban non suscitano ripugnanza né ammirazione, la 'guerra santa' contro gli occidentali in Iraq è considerata legittima, l' attacco alle Twin Towers sarebbe opera del Mossad e della Cia. Però questi islamisti tunisini dicono di preferire la democrazia liberale a qualsiasi dittatura teocratica; hanno fermamente condannato le bombe di Madrid con lettera all' ambasciata di Spagna da cui è giunto un messaggio di ringraziamento; e nei sermoni distinguono tra la politica del governo Sharon, che avversano fieramente, «e i tanti ebrei che lottano per la giustizia in Palestina», come precisa ben Mohammed. In sintesi, gli islamisti della al Huda hanno grossomodo le stesse opinioni di giornalisti comunisti, militanti di Rifondazione, pacifisti no-global. Possiamo ricavarne che anche ben Mohammed e l' imam Khaldi siano democratici anti-occidentali come tanti italiani che nessuno può considerare incompatibili con la nostra democrazia? Alcuni musulmani 'moderati' ci invitano a diffidare delle apparenze: l' islam della moschea al Huda, spiegano, discende dai Fratelli musulmani, il movimento che ha figliato mostri come Hamas palestinese. E' vero che col tempo i Fratelli musulmani in genere si sono convertiti alla non violenza. Ma ci si può fidare d' un islam con questi precedenti proprio mentre l' Iraq ribolle? Il dubbio non riguarderebbe solo la al Huda ma la maggioranza dei 50-100mila islamici che frequentano le 127 moschee italiane e forse 200 sale di preghiera. Gli islam importati in Italia sono così numerosi, anarchici e spesso avversari che nessuno sa quanti siano all' incirca i miti sufi e quanti i temibili nord-africani di Takfir wal Hijra; quanti i moderati, i meno moderati e i più radicali; quanti gli 'afgani' , così chiamati perché hanno combattuto in Afghanistan con al Qaeda, e quanti gli jihadi in cerca di finanziatori per partire per la jihad, la 'guerra santa' in Iraq; né alcuno riesce a indovinare se gli altri 900mila musulmani che non vanno in moschea siano tutti laici o credenti blandi, o piuttosto in quella maggioranza muta si celi un minimo di nazionalismo pan-islamico disponibile al terrorismo. Buio totale. Ma poiché le moschee derivate dai Fratelli musulmani sarebbero la maggioranza, soprattutto lì si decide da che parte penderà il grosso dell' islam praticante. Dove è diretta la moschea di ben Mohammed nel tempo della guerra in Iraq? La al Huda è stata fondata nel 1993, quando alla preghiera del venerdì partecipava una decina di fedeli: ora sono cinquanta volte di più. Chi con la barba islamica e chi sbarbato, in genere poveri, quasi tutti nordafricani e arabi. Ben Mohammed, l' imam e i collaboratori più stretti militano tutti in un partito islamico tunisino, Ennadha, fuorilegge in patria benché rifiuti la lotta armata e accetti le regole d' una democrazia parlamentare. Partiti analoghi sono diventati legali in Algeria e in Marocco. Ma Tunisi, ufficialmente regime 'moderato' perché amico degli occidentali, dà la caccia ai quadri di Ennahda e alle loro famiglie. Malgrado Roma intrattenga buoni rapporti con il regime che li ha costretti all' esilio, i dirigenti della moschea hanno un certo affetto per il nostro Paese. Qui hanno trovato una polizia in genere corretta, che una volta hanno messo sulle tracce d' una banda di spacciatori. Ogni tanto Adel, ex insegnante, è invitato dalle scuole o dalle parrocchie per spiegare quanto islam vi sia nella storia italiana, da Averroè all' esercito musulmano di Federico II; ha scoperto con dolore che gli studenti italiani sanno nulla della Tunisia, se non che fu base dei pirati saraceni. Insomma nel suo modo timido la moschea ha tentato di «lavorare per il bene della società italiana», dice ben Mohammed. Per questo ora sente il peso d' una «delusione» che sembra spegnergli la voce quando confida: «Comprendiamo l' esigenza di prevenire il terrorismo, ma finire nell' elenco dei sospettati è una cosa che non ci aspettavamo. La moschea è moderatissima». Se lo è davvero, la 'retata preventiva' di sabato non può affatto «rassicurare la popolazione», l' obiettivo dichiarato da Pisanu. Ma anche a sospettare che il governo abbia imposto alla polizia ad un' operazione di facciata per dare prova di 'fermezza' in campagna elettorale, resta una questione dura: legittimando la 'guerra santa' contro gli occidentali in Iraq, le moschee non 'moderate' si mettono dalla parte di chi spara sui soldati italiani a Nassiriya. Stanno dalla parte del nemico. La nostra Repubblica ha convissuto dalla sua nascita con il problema della «doppia lealtà», o della doppiezza: d' un Pci in origine legato a Mosca, di apparati militari subordinati a Washington, eccetera. Ma la mischia irachena non ricalca la Guerra fredda: è uno scontro diretto, frontale, dentro dar al islam, la terra musulmana. Maestra d' ipocrisie, la teologia può trovare un terreno neutro, un compromesso? L' imam Khaldi scioglie così il dilemma: «Noi abbiamo denunciato quella guerra. Ma la jihad in Iraq è un problema degli iracheni». Ben Mohammed conferma che tra l' Italia e l' islam lui non potrebbe che scegliere l' islam: «Ma l' islam non è l' Iraq. Non ha una patria. Lo si può vivere dovunque, e anzi, qui possiamo viverlo con difficoltà minori che nelle nostre nazioni. Quanto alla guerra, il nostro unico compito è far conoscere ciò che avviene davvero in Iraq». Il rovello della 'doppia lealtà' s' affaccia in controluce anche nel forum ospitato dal sito-web della moschea al Huda. Scrive Amina: «Se un paese islamico viene attaccato, la jihad è lecita per chi vi abita, mentre gli altri (musulmani) devono appoggiare rispettando le leggi del Paese in cui vivono». Ma un altro obietta: «Jihad è un dovere individuale quando il nemico occupa la terra dell' islam». Un' italiana convertita all' islam interviene sui kamikaze islamici: «Tutta questa smania di martirio è solo paura della vita... bin Laden propugna una religione della morte e dell' orrore, ma si può morire come martiri anche pelando patate». Un altro, a proposito di Hamas palestinese: «Quell' autentico abominio costituito dalle operazioni di martirio». Ma qualcuno sembra di diverso avviso: «Ebrei e cristiani sono kuffaar, (miscredenti), abitanti del fuoco... che meritano l' ira di Allah». Nel forum prevale l' idea che il Corano comandi «cordialità e tolleranza reciproca con cristiani ed ebrei». Però qualcuno osserva: «C' è chi dice che è giusto sterminare gli ebrei, imporre matrimoni con la forza, picchiare la moglie. Non mi riferisco ai nostri imam ma a settori estremisti che gravitano intorno alle moschee e cercano seguaci e finanziatori». Se stiamo a quest' ultimo messaggio, gli «estremisti» non sono agli ordini di questo o quell' imam radicale, ma s' affacciano nelle moschee perché sono l' unico luogo in cui si riuniscano immigrati musulmani. Non sono necessariamente praticanti (non lo erano diversi tra i terroristi marocchini coinvolti nel massacro di Madrid) e secondo studiosi come Oliver Roy i loro progetti rivoluzionari «hanno poco a che spartire con l' islam, semmai con il nazionalismo». Insomma l' area dell' estremismo non solo verbale è più complicata di quanto di solito ci immaginiamo. Come neutralizzarla? Justo Lacunza Balda, direttore dell' Istituto pontificio di studi arabi e d' islamistica, ci consegna due suggerimenti. Innanzitutto «lasciamo fuori la parola 'islam' e occupiamoci seriamente di terrorismo, chi lo finanzia, l' aiuta, l' organizza». Inoltre, «evitiamo la trappola in cui stiamo cadendo, quella di voler gestire tutto con la forza». Detto con altre parole: applichiamo la legge con efficacia e correttezza. Nulla di meno, nulla di più.

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